A causa di un veto dell’Ungheria, il Consiglio Ecofin svoltosi a Bruxelles è finito con un nulla di fatto per quanto riguarda le decisioni sulle misure concrete, ma anche con un solenne impegno, preso dalla presidenza di turno ceca, a risolvere entro la fine dell’anno la questione più importante: l’invio all’Ucraina, a partire da gennaio, del prestito da 18 miliardi di euro per l’assistenza macroeconomica promessa dall’Ue per il funzionamento dello Stato nel 2023, a fronte delle conseguenze dell’invasione russa. Per arrivare a questo obiettivo, ci sono due strade: o si riesce a superare il veto dell’Ungheria, ieri confermato, e si approva all’unanimità l’aumento dell”headroom’, il tetto di spesa previsto dal bilancio pluriennale comunitario, per inserirvi le garanzie finanziarie degli Stati membri a fronte dell’emissione di obbligazioni Ue, secondo le stesse modalità del Fondo di Recovery, con cui verrà finanziato il prestito all’Ucraina (opzione preferita, se possibile); oppure si decide a 26, senza l’Ungheria, di mettere a disposizione le stesse garanzie finanziarie, per lo stesso ammontare complessivo, fuori dal quadro del bilancio comunitario (piano B).
Lo hanno spiegato, in sostanza, il ministro ceco delle Finanze Zbynek Stanjura, presidente di turno dell’Ecofin, e il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovkis, nella conferenza stampa al termine del Consiglio. I tempi per realizzare l’uno o l’altro dei due scenari sono molto stretti, la conclusione sostanzialmente si vedrà entro fine della prossima settimana. Il veto ungherese tiene in ostaggio non solo il prestito all’Ucraina, ma anche la legislazione Ue sull’attuazione degli accordi G20-Ocse per la tassazione minima delle multinazionali, che richiede anch’essa l’unanimità. Per togliere questi due veti, Budapest vuole la certezza che non saranno congelati o bloccati i fondi Ue destinati all’Ungheria.
La Commissione europea aveva presentato recentemente due proposte al Consiglio Ue, sottoposte entrambe al voto a maggioranza qualificata: da una parte, il via libera al Pnrr ungherese (che deve essere dato prima della fine dell’anno, pena la decadenza del Piano) da 5,8 miliardi di euro, ma con la condizione che Budapest adotti e applichi ben 27 “super impegni” perché siano effettuati gli esborsi; dall’altra, il congelamento del 65% di tre programmi dei fondi di coesione ungheresi, per 7,5 mld di euro, nell’ambito del regolamento sulla “condizionalità dello stato di diritto”, perché Budapest non ha attuato in pieno le 17 misure che aveva concordato con Bruxelles (riguardanti soprattutto l’indipendenza della magistratura) entro la scadenza fissata del 19 novembre.
La presidenza ceca (appoggiata dagli Stati membri più grandi) sperava di poter convincere Budapest a togliere i due veti, offrendo in cambio di approvare il via libera per il Pnrr ungherese e di non votare, invece, la proposta di congelare i fondi di coesione per l’Ungheria. Per giustificare il mancato voto su questo punto, l’Ecofin avrebbe chiesto alla Commissione una nuova valutazione aggiornata sulle riforme attuate finora dall’Ungheria per rispettare lo stato di diritto. Il tutto veniva presentato come un “pacchetto”, in cui “non c’è accordo su nulla se non c’è accordo su tutto”, come ha sottolineato Stanjura. Durante la riunione dell’Ecofin, comunque, il ministro ungherese ha mantenuto i suoi due veti, evidentemente non fidandosi fino in fondo dell’offerta della presidenza.
A questo punto si è cominciato a lavorare al “piano B”, ovvero la soluzione a 26, che risolverebbe la questione del prestito all’Ucraina, ma lasciando nei guai l’Ungheria, e senza risolvere il nodo della tassazione minima delle imprese. Allo stesso tempo, l’Ecofin ha continuato a lavorare al “piano A”, esprimendo formalmente la propria richiesta alla Commissione di presentare, (“entro le fine di questa settimana”, ha indicato Stanjura) la sua valutazione aggiornata sulla situazione dello stato di diritto in Ungheria.
La Commissione un piccolo margine ce l’ha, perché la valutazione che ha già presentato, e che si concludeva con la richiesta di congelare i fondi di coesione per l’Ungheria, è stata conclusa il 19 novembre sulla base della situazione esistente in quel momento. La nuova valutazione potrebbe essere, quindi, almeno parzialmente più favorevole. “E’ una tempistica molto compressa, difficile fare valutazioni in cosí breve tempo, oltretutto ci è arrivata notifica della nuova legislazione da Budapest in ungherese, ma ci impegneremo in modo costruttivo”, ha detto Dombrovskis. Stanjura ha aggiunto che si aspetta che si possa “raggiungere un accordo la settimana prossima nel Coreper”, il comitato degli ambasciatori degli Stati membri presso l’Ue che prepara le riunioni del Consiglio, ma che può anche prendere decisioni per procedura scritta.
Il presidente di turno ha escluso che ci sia una nuova riunione straordinaria dell’Ecofin la prossima settimana, ha fatto capire che non sarebbe necessaria “in presenza” (è sempre pssibile tenerla per videoconferenza), ma ha detto che comunque potrebbe essercene una entro la fine dell’anno, “come ultima opzione”. Infine, una precisazione sulla manovra di bilancio italiana, che la Commissione non ha fatto ancora in tempo a valutare e sottoporre ai ministri delle Finanze. A margine della conferenza stampa, Stanjura, rispondendo ai giornalisti che chiedevano se la manovra italiana potesse costituire un problema, ha detto testualmente: “Non lo so, ma oggi non ne ho sentito parlare”. Il giudizio della Commissione sul bilancio italiano non è destinato comunque all’Ecofin, ma dovrà essere esaminato dal “working group” dell’Eurogruppo, per poi essere sottoposto all’approvazione dello stesso Eurogruppo.