Il partito Democratico incassa un’altra sconfitta elettorale. Ma già guarda alle elezioni di metà mandato del 2018, quelle in cui cercherà di strappare la maggioranza in Congresso ai repubblicani. E così, nonostante i democratici hanno ottenuto un risultato molto migliore nelle elezioni speciali per il Congresso in questa primavera di quello ipotizzabile dai più ottimisti solo pochi mesi fa, hanno perso in tutti e quattro i distretti che erano in mano ai repubblicani e in cui si è votato, compreso l’atteso sesto distretto della Georgia, in un’elezione fortemente in bilico e che sarà ricordata per essere stata la più cara nella storia della Camera statunitense (oltre 50 milioni di dollari), con molti fondi arrivati da altri Stati del Paese. Questa contraddizione spiega già le difficoltà della sfida che il partito democratico affronterà alle elezioni di metà mandato del 2018, quelle in cui cercherà di strappare la maggioranza in Congresso ai repubblicani, come detto. Una battaglia molto ardua, nonostante il contesto politico favorevole e il basso tasso di approvazione per il presidente Donald Trump, il quale ha però potuto festeggiare su Twitter: “Bene, le elezioni speciali sono finite e quelli che vogliono RIFARE GRANDE L’AMERICA sono 5 a 0! Tutte le notizie false, tutti i soldi spesi = 0”.
In realtà, le vittorie dei repubblicani sono state quattro e non cinque. Per i democratici, sconfitte che ora scoraggiano, ma da cui devono ripartire con fiducia, perché i risultati ottenuti in Kansas, Montana, South Carolina e Georgia (quest’ultimi due Stati al voto ieri) sono un buon punto di partenza in vista delle elezioni tra meno di un anno e mezzo. Anche la sconfitta più bruciante, quella di Jon Ossoff, battuto in Georgia da Karen Handel, che ha ottenuto quasi 10.000 voti in più (+3,8 punti percentuali), deve essere contestualizzata: il deputato uscente, Tom Price, aveva vinto con un vantaggio di 23 punti, lo stesso margine registrato da Mitt Romney alle presidenziali del 2012; a novembre, invece, Trump aveva vinto solo di 1,5 punti. Nel 2018, saranno molti i distretti tradizionalmente repubblicani che i democratici dovranno conquistare, per puntare alla maggioranza alla Camera. Per usare le parole di Ossoff dopo la sconfitta: “La battaglia va avanti. La speranza è ancora viva”. Nel frattempo, però, Trump avrà la possibilità di spingere per andare avanti con la sua agenda, persuadendo i repubblicani moderati a seguire la sua linea: il ‘referendum’ sul presidente, d’altra parte, ha avuto un solo, chiaro, vincitore. I democratici, invece, devono capire se andare verso sinistra, abbracciando la linea di Bernie Sanders, o guardare al centro. Con Ossoff, i democratici hanno scelto la seconda opzione.
Reduce di queste ultime vittorie elettorali, Donald Trump ha lanciato un consiglio al partito dell’opposizione: lavori con il partito repubblicano al Congresso per realizzare gli obiettivi della sua agenda ambiziosa sostenendo che alla fine ne beneficeranno anche i democratici. “I democratici farebbero molto meglio in quanto partito se lavorassero insieme ai repubblicani su sanità, taglio delle aliquote e sicurezza. L’ostruzionismo non funziona!”, ha scritto l’inquilino della Casa Bianca in un tweet. Difficilmente la minoranza democratica al Congresso sarà disposta a favorire gli sforzi dei repubblicani per abrogare e sostituire l’Obamacare e per approvare una riforma fiscale. L’unico fronte su cui ci potrebbe essere un consenso è il piano infrastrutturale promesso da Trump e che in passato anche il suo predecessore avrebbe voluto approvare, se non fosse che il Gop lo ostacolò. Sebbene i repubblicani controllino sia la Camera sia il Senato, tra di loro è mancato un consenso per promuovere legislazioni che permetterebbero di realizzare gli obiettivi cari a Trump. L’unica legislazione fino ad ora approvata è stata la proposta di riforma sanitaria passata per un pelo alla Camera il 4 maggio scorso dopo un iniziale e imbarazzante flop a fine marzo. Domani il Senato potrebbe presentare la sua versione nella speranza di approvarla prima della pausa legata alla festività del 4 luglio, giorno dell’indipendenza.