Nelle prime elezioni politiche in Iraq dalla sconfitta dei jihadisti dello Stato islamico (Isis), si profila una netta affermazione di un’alleanza guidata dal religioso nazionalista ed anti-sistema Moqtada al Sadr che secondo i dati parziali ha trionfato in almeno 6 delle 18 province del Paese. Al secondo posto, prevale in 5 governatorati un’alleanza rivale di milizie sciite legate a Teheran che ha rilegato al terzo posto la lista che fa capo al primo ministro Haider al Abadi favorito a livello internazionale. Un risultato che tuttavia imporrà lunghe e complesse trattative per la formazione di un nuovo governo necessariamente di coalizione dopo il voto di sabato caratterizzato da un’astensione record con solo il 44,5% di affluenza.
Lo sciita Sadr, a capo della lista Saairun (“In marcia” verso le riforme”), una coalizione di 6 partiti laici compresi i comunisti, non si è candidato in prima persona. Quindi non può guidare il governo, ma sembra destinato a giocare un ruolo fondamentale per la nomina del futuro primo ministro dopo anni passati ad opporsi agli americani prima di rompere con l’Iran e optare per un successivo avvicinamento all’Arabia Saudita. In un tweet postato ieri sera, al Sadr è sembrato indicare di volere un’ampia coalizione di tecnocrati con i blocchi principali, incluso Abadi, lasciando fuori però i rivali di “al Fatah”, (“La Conquista”), alleanza di milizie sciite guidate da Hadi al Amiri, cavallo su cui punta Teheran.
Sia al Sadr che al Ameri, si sono lanciati come leader populisti ed anti-sistema che cercano di spazzare via un’élite invisa dal Paese
Al Sadr si è reinventato come paladino anti-sistema dopo essersi imposto come potente capo di una milizia che ha scatenato una sanguinosa insurrezione contro le forze Usa dopo l’invasione del 2003. Parallelamente all’avversione a Washington, il populista al Sadr ha anche preso le distanze dallo sciita Iran, avvicinandosi successivamente ai rivali regionali di Teheran, i sunnita dell’Arabia Saudita. Con lo scrutinio quasi completato in 16 delle 18 province, l’alleanza “In Marcia verso le Riforme” è in vantaggio in sei e al secondo posto in quattro regioni. Al secondo posto “Al Fatah”, un’alleanza composta da ex combattenti provenienti principalmente da unità paramilitari sostenute dall’Iran, arrivata prima in quattro province e seconda in altre otto.
Il leader di questa lista è Hadi al-Ameri, un alleato di vecchia data di Teheran, le cui forze finirono per battersi a fianco degli Stati Uniti per cacciare i jihadisti dell’Isis. Sia al Sadr che al Ameri sono veterani della politica ben noti agli iracheni, ma si sono lanciati come leader populisti ed anti-sistema che cercano di spazzare via un’élite invisa dal Paese. La complessa aritmetica elettorale del sistema iracheno, tuttavia, indica che la composizione finale del parlamento di 329 seggi è ancora lontana dall’essere decisa. Ieri, in un discorso televisivo, Abadi ha salutato le “liste vincenti” e invitato tutte le parti a “rispettare i risultati”, dopo aver chiesto un ricomputo dei voti nella provincia multietnica di Kirkuk.
La Commissione Elettorale annuncia che i risultati finali potrebbero essere ufficializzati nelle prossime 24 ore
Funzionari della Commissione Elettorale hanno detto che i risultati finali completi potrebbero essere annunciati nelle prossime 24 ore. Qualunque sia il risultato, sembra che ci sarà una lunga trattativa tra le principali forze politiche prima che un nuovo governo di coalizione possa essere installato. Tra i tradizionali leader politici che sembravano destinati a perdere terreno alle elezioni, l’ex premier Nuri al-Maliki, che rimane ampiamente criticato per non avere saputo durante il suo mandato di arginare l’ascesa del Califfato che nell’estate del 2014 riuscì ad espugnare vasti territori nel Nord-est del Paese.
La sorpresa elettorale arriva dopo le tensioni che si sono scatenate tra gli Stati Uniti e l’Iran in seguito al ritiro americano dall’accordo nucleare del 2015, scatenando i timori di una destabilizzante lotta per il potere in Iraq. Abadi è stato una figura di consenso che ha bilanciato gli Stati Uniti e l’Iran. Un funzionario del Dipartimento di Stato americano interpellato da Afp ha detto: “Siamo in attesa dell’annuncio dei risultati ufficiali e attendo con ansia la formazione del nuovo governo”. Chiunque emergerà come premier dovrà affrontare il mastodontico compito di ricostruire un paese devastato dalla guerra all’Isis ma che dovrebbe poter contare sugli aiuti dei Paesi donatori che riunitisi in Kuwait hanno già impegnano 30 miliardi di dollari per la ricostruzione. askanews