Evocando il “New Deal”, una serie di programmi federali voluti dal 32esimo presidente americano Franklin D. Roosevelt (foto) per alimentare la ripresa economica dopo la Grande Depressione degli anni ’30, i democratici alla Camera e al Senato sperano di unire il partito e di riconquistare gli elettori con una nuova agenda economica all’insegna del motto “A better deal”, un affare migliore. Anche di quello rappresentato da Donald Trump, il repubblicano che a sorpresa ha vinto le elezioni presidenziali dello scorso 8 novembre e che si è sempre presentato come il migliore deal-maker sin dai tempi (era il 1987) in cui ha scritto il libro “The Art of the Deal”. In vista delle elezioni di metà mandato del 2018, il partito democratico scommette su un’agenda che include sgravi fiscali pensati per alimentare le assunzioni, progetti infrastrutturali multimiliardari (voluti anche da Trump ma non ancora realizzati), maternità retribuita (proposta dallo stesso Trump nella legge finanziaria per l’anno fiscale 2018), una proposta per la creazione di una agenzia indipendente che supervisioni i prezzi dei medicinali vendibili con una prescrizione medica e di un organismo che difenda la competizione monitorando le fusioni aziendali. Perché il consumatore va difeso. Il partito dell’opposizione – che alle elezioni non è riuscito a strappare al Gop il controllo di tutto il Congresso, conquistato nel 2014 – sa bene che non bastano gli slogan per fare breccia nel cuore di un elettorato insoddisfatto. Se è vero che nel lessico popolare ancora circoli il motto del Gop del 1994 (Contratto con l’America), quello del 2016 dei democratici (“Nuova direzione per l’America”) è presto passato nel dimenticatoio.
Anche per questo i leader democratici vogliono puntare sulla sostanza. E lo fanno evitando – per il momento – di esporsi su temi controversi come un’assistenza sanitaria universale ed essendo consapevoli che su alcuni punti la loro agenda echeggia quella populista promossa da Trump. Loro sono pronti a dire che quella del presidente è pura retorica, visto che un Congresso a maggioranza repubblicana non è ancora riuscito a promuovere alcuna legislazione. Solo la Camera di Paul Ryan ha fatto passare, per un soffio, una proposta per abrogare e sostituire l’Obamacare; il Senato è in panne su questo punto e potrebbe limitarsi a mettere al voto in settimana la proposta per eliminare la riforma sanitaria voluta da Barack Obama ma senza offrire un’alternativa. Dopo il doloroso flop elettorale dello scorso novembre, i democratici tentano dunque il rilancio. Come ammesso ieri ai microfoni di ABC da Chuck Schumer, leader della minoranza democratica al Senato, “la cosa numero uno che abbiamo sbagliato è stata non dire alle persone quello in cui credevamo”. Forse anche per questo i leader del partito hanno scelto di presentare la loro nuova agenda da una località della Virginia settentrionale prevalentemente bianca (Berryville). Là, come in altri angoli dell’America conquistati da Trump, c’è l’elettorato che potrebbe garantire la ripresa del controllo del Congresso il prossimo anno. Chissà che la “nuvola” del Russiagate, come l’ha definita il presidente Usa, e l’incapacità di attuare la promessa agenda pro-crescita e pro-business trumpiana, non agevoli i piani dei democratici.