L’ultimo a ipotizzarlo, in ordine di tempo, è stato il Washington Post. È possibile che il confronto presidenziale statunitense tra il repubblicano Donald Trump e la democratica Hillary Clinton non si esaurisca nella notte tra l’8 e il 9 novembre? Da settimane l’ipotesi circola tra i media statunitensi, e non perché si preveda un riconteggio (comunque possibile), come per l’assegnazione della Florida in occasione della sfida George W.Bush-Al Gore nel 2000, ma in assenza di un candidato capace di raggiungere la maggioranza di 270 voti elettorali. Aritmeticamente, il pareggio è possibile: il presidente è votato dal Collegio elettorale, composto da 538 grandi elettori. Bisogna ricordare che gli elettori statunitensi non eleggono direttamente il presidente, ma i grandi elettori, divisi tra i 50 Stati (più il District of Columbia) in base alla popolazione: il candidato presidenziale che vince in uno Stato ottiene la totalità dei suoi grandi elettori (tranne in Maine e Nebraska), che poi eleggeranno il presidente; i sondaggi e alcuni degli ultimi scenari disegnati fanno pensare che non sia un’ipotesi da escludere completamente. C’è poi un’altra possibilità, ovvero che nessuno dei candidati arrivi ai 270 voti necessari, pur in assenza di un pareggio: in questo caso, probabilmente, il merito sarebbe di Evan McMullin, l’unico candidato alternativo con reali chance di vittoria in uno Stato, lo Utah, che assegna 6 voti elettorali.
Il Washington Post, per esempio, ha disegnato due scenari che porterebbero Trump e Clinton al pareggio: il primo, con Trump vittorioso in cinque Stati conquistati da Obama nel 2012, ovvero Florida, Iowa, Nevada, New Hampshire e Ohio; il secondo, con la vittoria di Trump in Wisconsin, su cui i repubblicani sono sempre più ottimisti, senza il New Hampshire e il Nevada. Nello scenario disegnato dal Liberty Conservative, che prevede la vittoria di McMullin in Utah, Trump vincerebbe non solo negli Stati considerati sicuri, ma anche in Arizona, Nevada, North Carolina, Ohio e Florida. Servirebbe poi anche il New Hampshire: non impossibile, visto che i democratici hanno nettamente preferito Bernie Sanders a Clinton nelle primarie e che la delusione potrebbe portare molti elettori a disertare le urne, favorendo Trump. L’ultimo sondaggio di Wbur assegna un punto di vantaggio a Trump e il vantaggio di Clinton nella media di Real Clear Politics è sceso a 3,3 punti percentuali.
Ipotizzando la vittoria di Trump negli Stati sopracitati, a Clinton mancherebbero due voti elettorali per diventare presidente, secondo i calcoli del sito conservatore. In questo caso, come in caso di pareggio, l’elezione del 45esimo presidente degli Stati Uniti finirebbe in mano al Congresso, come stabilito dal dodicesimo emendamento della Costituzione, con la Camera incaricata di scegliere il presidente (con un voto per ogni Stato) e il Senato con il compito di eleggere il vicepresidente (un voto per ogni senatore). È probabile che, in questo caso, vincerebbe Trump, anche se il Liberty Conservative non esclude la possibilità che sia eletto McMullin grazie al compromesso tra repubblicani e democratici. Il blog del National Constitution Center ricorda che, nella storia degli Stati Uniti, il Congresso ha deciso l’elezione di un presidente in due occasioni: nel 1800, quando Thomas Jefferson (poi presidente) e Aaron Burr ottennero lo stesso numero di voti nel collegio elettorale, con il vecchio sistema che prevedeva due voti per ogni elettore, e nel 1824, con Andrew Jackson in vantaggio, ma senza la maggioranza assoluta dei voti; la Camera, poi, gli preferì John Quincy Adams.