Enrico Letta ha offerto un seggio in parlamento solo (tranne pochissime e selezionate eccezioni) ai suoi fedelissimi perché è un vero leader, per dimostrare che chi sta con lui ha vantaggi e chi lo osteggia ha già perso in partenza o, al contrario, evidenzia la clamorosa debolezza del segretario pisano? Impossibile essere lapidari nella risposta. Di certo, con tre voti contrari, cinque astensioni e diverse rinunce in arrivo la direzione del Pd riunita per quasi tre ore a cavallo della mezzanotte di Ferragosto ha approvato le liste di candidature al Parlamento alle elezioni del prossimo 25 settembre. Convocata inizialmente alle 11 del mattino, la riunione è slittata a notte con tre convocazioni (alle 15, alle 20, alle 21,30) successivamente aggiornate fino ad avere inizio intorno alle 23,30. Tanto non è servito per far rientrare i casi delle due esclusioni che più hanno fatto rumore in questi giorni. La senatrice uscente Monica Cirinnà, protagonista delle battaglie per diritti e libertà personale e difesa a spada tratta dalla comunità Lgbt, è stata una dei tre voti contrari in direzione alla proposta di Letta, rifiutando la candidatura incerta al Senato che la direzione le aveva assegnato. Ma poi ci ha ripensato e ha detto sì.
“La mia avventura parlamentare finisce qui. Mi hanno proposto un collegio elettorale perdente in due sondaggi, sono territori inidonei ai miei temi e con un forte radicamento della destra. Evidentemente per il Pd si può andare in Parlamento senza di me, è una scelta legittima. Resto nel partito, sono una donna di sinistra ma per fortuna ho altri lavori”. Anche i componenti della Direzione Pd di Base Riformista, la corrente guidata dal ministro Lorenzo Guerini, non hanno partecipato al voto della direzione Pd che stanotte ha approvato la lista di candidature proposte dal segretario Enrico Letta, non condividendo l’esclusione dalle candidature dell’ex ministro Luca Lotti. Una scelta che, come sottolineato anche in un intervento molto duro su questo del ministro Guerini in prima personam, Base Riformista considera “una grave violazione del garantismo, non avendo riportato Lotti alcuna condanna”. Guerini nel suo intervento in Direzione ha infatti sottolineato le ragioni di dissenso sulla esclusione di Lotti e “di altri valentissimi parlamentari”. “Da oggi comunque – sottolineano fonti di Base Riformsita- siamo tutti in campagna elettorale per il Pd”. Dunque, “trombato” l’ex fratello siamese di Matteo Renzi non trasmigrato in Italia Viva, per il cui possibile bis si erano spesi in molti nella corrente di Base Riformista guidata da Guerini, per l’appunto, di cui Lotti è fra i più autorevoli dirigenti.
Il costituzionalista Stefano Ceccanti, capogruppo uscente in commissione Affari costituzionali della Camera, intanto ha smentito seccamente di aver accettato la candidatura a lui offerta. ” Leggo con stupore dalle agenzie che sarei candidato numero 4 al proporzionale a Firenze-Pisa. La notizia è destituita di qualsiasi fondamento come ben sa il segretario Letta. Spiegherò nel dettaglio”, ha messo nero su bianco. Sempre dalla stessa area esclusi anche Emanuele Fiano e Tommaso Nannicini, mentre l’attuale capogruppo in Senato Andrea Marcucci sarà candidato nel collegio Pisa-Livorno: sfida non scontata, ma che non equivale ad un’esclusione automatica. A fronte di chi esce, fra le new entry Pd, si registra la candidatura del virologo molto noto al pubblico tv Andrea Crisanti capolista per gli Italiani all’estero nella circoscrizione Europa. Mentre la lista approvata dalla direzione ratifica le annunciate candidature del segretario Enrico Letta da capolista alla Camera sia in Lombardia che in Veneto e di Carlo Cottarelli capolista al Senato a Milano. Con quattro capislita under 35 nelle varie aree del Paese (Rachele Scarpa, Cristina Cerroni, Raffaele La Regina, Marco Sarracino) come preannunciato da Letta a testimonianza concreta di spazio e attenzione che il Pd intende dare alle politiche per i giovani.
Tutti ricandidati, invece, i capi delle principali correnti del partito. Lorenzo Guerini, leader di Base riformista, è candidato al primo posto del listino proporzionale del collegio di Pavia. Andrea Orlando, leader della sinistra Pd, è candidato al primo posto del proporzionale in Liguria. Il suo alleato e vicesegretario Pd Peppe Provenzano è candidato sia all’uninominale in Sicilia che al primo posto del proporzionale. Dario Franceschini, ministro della Cultura e leader della corrente centrista AreaDem sarà candidato come capolista del Pd a Napoli. Matteo Orfini, leader della corrente dei Giovani turchi è candidato in prima posizione al proporzionale in Lazio. Inoltre, non sembra foltissima la pattuglia di fedelissimi del segretario Letta. Il suo segretario politico Marco Meloni è candidato in posizione sicura al Senato in Sardegna, mentre Mauro Berruto, ex allenatore di pallavolo e amico personale di Letta è candidato in Piemonte. E’ stata ricandidata dal Pd anche l’ex presidente della Camera Laura Boldrini come capolista al collegio proporzionale Camera Toscana 2: Arezzo, Livorno, Siena, Grosseto.
“Termino questo esercizio – ha dichiarato Letta – con un profondo peso sul cuore per i tanti no che ho dovuto dire. Peso politico e umano. Ma la politica è questo: assumersi la responsabilità. Ho chiesto personalmente sacrifici ad alcuni e mi è pesato tantissimo. Volevo ricandidare tutti gli uscenti ma era impossibile. Potevo imporre i miei ma ho cercato di comporre un equilibrio, perché il partito è comunità. Quattro anni fa – non ha mancato di stilettare Renzi – il metodo di chi faceva le liste era ‘faccio tutto da solo’. Invece io ho cercato di comporre un equilibrio e il rispetto dei territori è stato tra i criteri fondanti delle scelte. Avrei voluto ricandidare tutti i parlamentari uscenti ma era impossibile a causa del taglio dei parlamentari ma anche per esigenze di rinnovamento”.
L’affondo di Lotti
“Ai tanti che mi stanno scrivendo e mandando messaggi o che si sono preoccupati per me dico solo questo: anche quando alcune scelte sembrano più dettate dal rancore che dalla coerenza politica, mi troverete sempre dalla stessa parte. Dalla parte del Pd. Il Pd è casa mia. Lo sarà anche in futuro”. Lo afferma via Facebook Luca Lotti, sottolineando che “il segretario del mio partito ha deciso di escludermi dalle liste per le prossime elezioni politiche” per “rancore” e “scelta politica”. E che anche se “questo fa male” da parte sua “non ci saranno polemiche” se non per “smentire fake news”. “Letta mi ha comunicato la sua scelta – dichiara Lotti – spiegando che ci sono nomi di calibro superiore al mio. Confesso di non avere ben capito se si riferiva a quelli che fino a pochi mesi fa sputavano veleno contro il Pd e che oggi si ritrovano quasi per magia un posto sicuro nelle nostre liste. Non lo so. Ma così è. Non sarò certo io a fare polemiche: non le ho fatte in questi anni e non comincerò oggi. Ho sempre agito per il bene del mio territorio e del mio partito”.
La Morani rifiuta
“È stata una lunga notte e finalmente sono state decise le liste dei candidati del Partito democratico per le prossime elezioni politiche. Ho saputo quale fosse la mia posizione in lista solo al momento della lettura da parte di Marco Meloni dell’elenco dei candidati. Nei posti eleggibili per le Marche sono stati designati Alberto Losacco, commissario del Pd Marche, Irene Manzi e Augusto Curti. A mia insaputa, il mio partito ha deciso di assegnarmi il collegio uninominale di Pesaro e un terzo posto nel proporzionale”. Lo afferma Alessia Morani, deputata del Pd, spiegando di aver “comunicato al mio partito che non intendo accettare queste candidature” e che “avrò modo in seguito di spiegare le motivazioni che mi hanno convinta della bontà di questa scelta”.
La Cirinnà ci ripensa
Dopo aver dichiarato di rinunciare alla candidatura in un collegio considerato “perdente”, la senatrice uscente Monica Cirinnà, protagonista delle battaglie per diritti e libertà personale e difesa della comunità Lgbt, è tornata sui suoi passi per annunciare che, dopo averci “pensato tutta la notte” accetterà la candidatura “perché il pd è l’unico che può fermare questa destra oscurantista”. Una decisione maturata, ha detto, nonostante “lo schiaffo” ricevuto dal suo partito, che ha avuto una gestione delle candidature “a dir poco pessima” e per la quale ha ricevuto “un’offesa molto forte”. “Per questo la mia delusione, l’offesa è stata molto forte, mi sono sentita colpita in prima persona. Ero certo di poter far un bel lavoro, ho ricevuto uno schiaffo”, ha affermato, prima di leggere, commossa, alcune mail di sostegno che ha raccontato di aver ricevuto assieme a messaggi e telefonate nella notte scorsa.
“Non è un ripensamento dettato per interesse ma per amore e rispetto per tanta gente”, che ha a cuore le battaglie sui diritti, ha detto Cirinnà in conferenza stampa. “Letta chiacchiera di occhi di tigre. Va bene, li tiro fuori questi occhi di tigre. Ma lo faccio solo” per tutte le persone che in queste ore “mi hanno chiesto di restare. Perché il pd è l’unico che può fermare questa destra oscurantista”. “Penso che combattere come l’ultimo dei gladiatori, è l’unico modo per non sottrarmi a una responsabilità, è l’unico modo per dire ‘esistete'”, ha aggiunto Cirinnà, che però non ha lesinato critiche al suo partito. Il pd, ha concluso, “deve battersi per i diritti. Penso che farà una battaglia difficile, complicata, ma forse vale la pena di farla per salvare l’Italia” e “vale ancora di chiedere di votare il pd, nonostante i tanti errori. Sto in battaglia nonostante avessi ritenuto di non farlo perché tante persone me l’hanno chiesto”.
Rivolta in Puglia
“Le liste del Pd Puglia sono state generalmente composte sulla base di raccomandazioni, meschinità, bassezze, misoginia, ossequi ai capetti di turno impegnati a risolvere in Puglia problemi campani di collocamento e soggezione ai metodi nepotisti e torbidi del non iscritto Michele Emiliano. Le liste del mio partito risultano perciò non votabili”. È quanto sostiene Fabiano Amati, esponente del Pd e presidente della commissione Bilancio in consiglio regionale commentando i nomi scelti dal Partito democratico in vista del voto del 25 settembre. “Mi dispiace tanto che su questo anche Enrico Letta si sia reso complice e perciò colpevole, giungendo a tollerare, addirittura, capilista tutti uomini, con relativa strumentalizzazione delle donne e la nomina del Capo di gabinetto della Regione Puglia, preferito a molti iscritti, dirigenti ed eletti di maggior peso, per idee e sostegno elettorale”, continua Amati annunciando che “non andrò via dal partito perché mi sono dato il compito di distruggere questo sistema di potere e per farlo non posso regalare l’abbandono del campo e così togliere un po’ di voce a tante belle persone, mortificate, offese e non inclini alla sudditanza”. “Mi appello ai sindaci, consiglieri regionali e comunali, affinché si uniscano nella battaglia, cancellando ogni forma di soggezione o rassegnazione, spesso usate nella speranza che prima o poi qualcosa cambi o arrivi il proprio turno – conclude – il cambiamento arriva se ognuno mette il suo impegno nel tempo stesso in cui questo risulta necessario, perché le cose non cadono mai dal cielo e farlo dopo, anche tra un mese, sarebbe troppo tardi”.