Elicotteri, missili e carri armati all’Isis in Libia: arrestati tre italiani. Un libico è irreperibile

Elicotteri, missili e carri armati all’Isis in Libia: arrestati tre italiani. Un libico è irreperibile
31 gennaio 2017

C’erano molte tracce seminate da Francesco Chianese, un imprenditore fino a qualche anno fa insospettabile, ma per gli inquirenti vicino al potente clan dei Casalesi. Lui, che e’ stato indagato gia’ nel 2013, avrebbe dovuto fare l’istruttore militare in Africa e il clan avrebbe dovuto vendere armi grazie al suo appoggio nel continente nero. E’ questa la chiave dell’inchiesta che questa mattina ha portato all’arresto di quattro persone tra le quali una coppia di coniugi convertiti all’Islam di San Giorgio a Cremano. Secondo gli inquirenti i coniugi avevano intrapreso un traffico di armi destinate sia a un gruppo legato all’Isis attivo in Libia sia all’Iran. Nella casa di San Giorgio è stata trovata anche una foto con l’ex presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Risulta indagato anche il figlio della coppia. Ci sarebbero stati contatti telefonici sempre tra la stessa coppia di coniugi e i rapitori di quattro italiani sequestrati in Libia due anni fa. Le forze dell’ordine sono riuscite a decriptare alcuni sms successivi al sequestro in cui la coppia faceva riferimento alle persone già incontrate qualche tempo prima e facendo intendere che erano i rapitori libici.

CONNAZIONALI RAPITI A marzo 2016 due dei nostri connazionali, Fausto Piano e Salvatore Failla morirono mentre gli altri due rapiti, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a mettersi in salvo. Arrivano anche dall’Italia, quindi, le armi nelle mani dei terroristi dell’Isis, armamenti ed elicotteri destinati anche a Iran e Libia. Le armi che venivano ‘piazzate’, cosi’ come tutta la componentistica sarebbero per lo piu’ di fabbricazione italiana, e sarebbero state vendute in Nigeria, Somalia, Sudan, Libia, Iran. Ogni pezzo aveva un prezzo differente: kalashnikov, pistole e carri armati erano i piu’ richiesti. Da un lato, c’era il ‘gruppo di fuoco’ e diplomatico del superboss Michele Zagaria, attualmente in carcere al 41 bis ma con un ‘esercito’ di affiliati pronto ad immolarsi per lui. Dall’altro lato, ci sono gli estremisti in cerca di armi.

UN LATITANTE Al centro c’e’ Napoli, citta’ dove e’ facile potersi nascondere e dove e’ altrettanto facile trovare contatti importanti e documenti di ogni tipo. E proprio nel 2013 fu ascoltata dalla Dda partenopea una telefonata tra Francesco Chianese, detto ”o santulillo’ che viveva a Parete e che a maggio del 2016 e’ stato arrestato, e un estremista: da li’ la trama che ha portato agli arresti di questa mattina. Dunque, quattro persone sono state fermate nel corso di un’indagine contro il traffico internazionale di armi e di materiale dual use. L’operazione è stata realizzata dal Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia nelle province di Roma, Napoli, Salerno e L’Aquila, con il coordinamento del II Reparto del Comando Generale del Corpo, la collaborazione dello Scico e dei competenti Reparti territoriali. Dei 4 provvedimenti di fermo emessi dalla Dda partenopea i 3 riguardanti i cittadini italiani sono stati eseguiti, mentre è risultato irreperibile un cittadino libico. Ad essere fermati sono stati Andrea Pardi, 51 anni, amministratore della Società Romana Elicotteri srl, Mario Di Leva, 69 anni, di San Giorgio a Cremano (Napoli) e la moglie Anna Maria Fontana, di 63 anni. Pardi è indagato per traffico internazionale di armi e traffico internazionale di materiali dual use.

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ATTESA AUTORIZZAZIONI Secondo gli inquirenti, Pardi “in assenza delle necessarie autorizzazioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Ministero dello Sviluppo Economico, ha compiuto nel 2015 atti idonei ad esportare in Libia – Stato sottoposto ad embargo internazionale con decisione del Consiglio dell’Unione Europea – elicotteri militari di fabbricazione sovietica ad uso militare, fucili d’assalto, missili, nonché materiale dual use”. I due coniugi, sono accusati per il periodo 2011 – 2015 di “aver ceduto in Libia armi da guerra, nonché missili terra-aria e anti-carro, prodotti in Paesi dell’ex blocco sovietico; venduto pezzi di ricambio per elicotteri ad uso militare e materiali dual use ad una società con sede in Iran, Paese sottoposto ad embargo internazionale. Al riguardo, al fine di eludere i divieti internazionali, la coppia napoletana ha ceduto i suddetti materiali avvalendosi di società estere a loro riconducibili; compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad effettuare operazioni di esportazione di beni dual use, consistiti nell’intavolare concrete trattative commerciali per l’introduzione di materiali per la produzione di munizionamento in Iran”.

HOLDING ARMI Una holding delle armi, un comitato d’affari, lo definiscono i finanzieri di Venezia che hanno condotto le indagini coordinate dalla Dda di Napoli, quello messo su dai quattro fermati, un commercio di armi da guerra e di materiali dual use – che ugualmente devono essere autorizzati dal Mise per la vendita a Paesi sotto embargo – come eliambulanze, che con poche modifiche sono state trasformate in elicotteri militari. Lo scopo, secondo gli investigatori del nucleo polizia tributaria della guardia di finanza di Venezia, era quello di arricchirsi commerciando armi con Paesi sotto embargo, non il perseguimento di un obiettivo politico o frutto di un’adesione al terrorismo internazionale. La coppia di San Giorgio a Cremano, in particolare, da almeno dieci anni frequentava Paesi come l’Iran, testimonianza una foto di Annamaria Fontana ad un ricevimento a cui era presente anche l’ex premier Ahmadinejad, e intratteneva rapporti con alti funzionari in Iran e Libia.

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WHATSAPP Si proclamano convertiti all’Islam tanto che lui, Mario Di Leva, si fa chiamare Jaafar, ma agli investigatori della Gdf veneziana non risultano elementi di radicalizzazione, né contatti diretti con cellule Isis. Non si può escludere quindi neanche che l’adesione all’Islam sia una convenienza per facilitare contatti e affari. Sono comunque ancora in corso le indagini e le ricerche del cittadino libico sfuggito al fermo. Agli atti delle indagini risultano anche una serie di messaggi Whatsapp tra Di Leva e la moglie, scambiati la sera del 22 luglio 2015, argomento il rapimento dei quattro tecnici italiani in Libia e Annamaria Fontana scrive “ce lo hanno proprio quelli dove noi siamo andati”. L’indagine dei finanzieri di Venezia è partita nel 2011: lo Scico, il Servizio centrale investIgativo criminalità organizzata su input della Dda partenopea, agli atti di un’indagine infatti risulta che un soggetto ritenuto vicino alla cosiddetta mala del Brenta contatta un imprenditore F. C., ritenuto dagli investigatori vicino al clan dei Casalesi, e gli chiede di trovargli persone capaci di addestrare un gruppo di mercenari somali alla guerriglia. Le indagini tecniche e le intercettazioni hanno portato all’operazione di oggi, battezzata Italian job.

GIORNALISTA Non è la prima volta che balza alla cronaca il nome di Andrea Pardi, amministratore delegato della Societa’ Italiana Elicotteri, fermato con altri tre questa mattina dai militari del Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Venezia nell’ambito di una inchiesta della Dda di Napoli allargata a Roma, Napoli, Salerno e L’Aquila sul traffico internazionale di armi e di materiale dual-use di produzione straniera. In passato la Società Italiana Elicotteri era stata coinvolta in una inchiesta sull’assoldamento di mercenari e un traffico di armi tra Italia e Somalia. E lui, Pardi, anche per l’aggressione il 7 ottobre 2015 a un cronista di Report dapprima all’esterno e poi all’interno della palazzina nell’area aeroportuale di Roma Urbe dove ha sede la società. Secondo la denuncia del cronista, Giorgio Mottola, impegnato in un servizio sull’impresa guidata da Pardi, dapprima venne data una manata sulla telecamera, che a quel punto smise di funzionare per alcuni secondi, poi egli stesso – con un braccio stretto al collo – venne trascinato in ufficio, quasi sollevato di peso, senza che nessuno degli impiegati presenti intervenisse in sua difesa nonostante la richiesta ripetuta di aiuto o comunque ponesse fine a quanto stava accadendo. Sul posto poi intervennero le forze dell’ordine chiamate dal giornalista una volta tornato libero in strada. Il manager venne denunciato; la telecamera del reporter risultò danneggiata, pero’ la scheda digitale con la registrazione dell’accaduto rimase integra. Dalla ricostruzione dell’accaduto fornita dal fronte Rai, il giornalista si trovava all’esterno della palazzina che ospita gli uffici della Società Italiana Elicotteri, ed aveva avvicinato il manager, appena sceso da un’auto di colore bianco con targa straniera e gli aveva fatto una domanda relativa a trattative intavolate per la vendita di velivoli all’estero.

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