“Nessuno può parlare di pace, giustizia e civiltà nel mondo se il grido che arriva dalla Somalia rimane inascoltato”: così l’allora premier turco, Recep Tayyip Erdogan, si rivolse nel settembre del 2011 alle Nazioni Unite per denunciare la “vergogna” di una comunità internazionale che guardava “come fosse un film” la carestia in atto nel Paese del Corno d’Africa. Un mese prima, Erdogan era atterrato a Mogadiscio insieme a moglie e figlia, accendendo così i riflettori su un crisi umanitaria dimenticata dal mondo e diventando il primo leader a visitare il Paese in quasi 20 anni. Da allora la Turchia è sempre stata in prima linea nel sostenere la Somalia, mandando aiuti umanitari, finanziando progetti allo sviluppo, sostenendo la ricostruzione del Paese dopo decenni di conflitto, tanto che oggi sono aziende turche a gestire il porto e l’aeroporto di Mogadiscio e nella capitale somala si trovano la più grande rappresentanza diplomatica turca all’estero e, dal 2017, il suo più grande centro di addestramento militare all’estero, dove vengono formate le forze di sicurezza somale impegnate contro i jihadisti Shebab.
In un intervento pubblicato oggi sul quotidiano turco Daily Sabah, l’ambasciatore somalo in Turchia, Jama A. Mohamed, ha ricordato che dal 2011 a oggi Ankara ha speso più di un miliardo di dollari in Somalia, “un contributo generoso per cui oggi la maggior parte dei somali considera la Turchia uno dei più stretti alleati”. Un alleato che ha già inviato quattro voli carichi di aiuti sanitari da quando, il 16 marzo scorso, la Somalia ha registrato il primo caso di Covid-19, e che ha sempre accolto nelle proprie strutture sanitarie i feriti più gravi degli attentati terroristici messi a segno dai jihadisti Shebab. E se l’interscambio commerciale oggi vale oltre 200 milioni di dollari, la Somalia, “con la sua posizione strategica e la scoperta di importanti riserve di petrolio sulla terraferma e in mare, oltre alle sue fertili terre agricole e alle sue coste incontaminate, ha le potenzialità per un futuro di sviluppo che la Somalia e la Turchia possono condividere”, ha aggiunto l’ambasciatore. Nei mesi scorsi, infatti, Mogadiscio ha invitato Ankara ad avviare le esplorazioni petrolifere nel Paese. Ma la prospettiva di tale sviluppo potrebbe inasprire ulteriormente le tensioni tra la Somalia e i Paesi del Golfo, in particolare Emirati arabi uniti ed Arabia Saudita, dopo che il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo si è rifiutato di rompere i rapporti con il Qatar, a seguito della crisi del 2017, e di tenere una posizione di neutralità.
E aggravare quelle in atto da anni tra Turchia ed Emirati e Arabia Saudita, nate dal sostegno garantito da Ankara alla Fratellanza musulmana, invisa ad Abu Dhabi e Riad. Ankara ritiene i due Paesi responsabili del golpe del 2013 che ha rovesciato il governo egiziano del presidente Mohammed Morsi, così come crede abbiano sostenuto il fallito golpe nei suoi confronti del 2016. Particolarmente forte è la tensione tra Turchia ed Emirati, soprattutto oggi che sono impegnate su fronti opposti in Libia. Il 30 aprile scorso Abu Dhabi ha infatti denunciato “l’interferenza turca negli affari arabi, in particolare in Libia”, a cui Ankara ha replicato accusando gli Emirati di “attività contro pace, sicurezza e stabilità in Libia, Yemen, Siria e Corno d’Africa”, aggiungendo: “Non è un segreto che gli Emirati sostengono organizzazioni terroristiche, soprattutto gli Shebab”. Interpellati da Al Monitor, alcuni funzionari turchi hanno fatto sapere che “la nostra pazienza con i reali degli Emirati si sta esaurendo”, con il rischio però che lo scontro si consumi proprio in Libia e in Somalia. Due Paesi deboli, con governi fragili, dove agiscono gruppi armati. askanews