Cronaca

Erede dinastia condannato: dalla salumeria all’elettronica, la lunga storia giudiziaria Samsung

Tanto successo e tanti inciampi: questa è la storia di Samsung, il gigante mondiale dell’elettronica, il cui leader d’impresa è stato condannato in Corea del Sud a cinque anni di carcere per corruzione, spergiuro e altri reati, dopo essere stato implicato nello scandalo del secolo per la politica e l’economia del paese dell’Asia orientale. Samsung, il cui nome vuol dire “tre stelle” in coreano, è un vero colosso per la rampante economia sudcoreana, arriva a rappresentare il 20 per cento del Pil del paese. Eppure la sua storia non è affatto lineare: in tre generazioni di capitani d’azienda, ha inanellato una serie di scandali che vanno dall’evasione fiscale alla corruzione. L’esponente della terza generazione di leader di Samsung riprende una poco commendevole tradizione familiare, anche se è il primo a finire materialmente in carcere. Il padre e il nonno si sono dovuti difendere da accuse di corruzione e di evasione fiscale. Samsung esiste dal 1938, fondata da Lee Byung-chul, proprietario terriero della contea di Uireyeong, nel sudest del paese.

Nasce come salumeria, per poi allargarsi ai più vari settori, dal tessile alle assicurazioni dopo la guerra di Corea (1950-53). L’elettronica, che l’ha resa famosa nel mondo, è arrivata negli anni ’60 del secolo scorso. Il fondatore nel 1966 fu accusato di contrabbando per aver tentato di far entrare dal Giappone degli edulcoranti. Lui non fece un giorno in gattabuia, ma al posto suo il secondo figlio dovette scontare sei mesi in prigione. Invece il terzo figlio, erede dell’impero, Lee Kun-hee, nel 1996 è stato condannato per aver “oliato” – assieme a diversi altri industriali – il presidente Roh Tae-woo. Nel 2005, poi, è finito di nuovo sotto inchiesta in seguito a registrazioni finite alla stampa nelle quali discuteva assieme ad altri imprenditori delle migliori tecniche di corruzione. Se l’è cavata con un dono da 800 miliardi di won (660 milioni di euro) in opere di beneficenza. Ancora, nel 2007, Lee Kun-hee è stato riconosciuto colpevole di evasione fiscale e, verso la conclusione degli anni 2000, suo figlio Jea-yong è stato implicato in una vicenda di abbellimento del prezzo di azioni. Alla fine Kun-hee nel 2008 si è dimesso dalla guida del chaebol con la promessa di trasparenza.

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