Ergastolo al torturatore di migranti in Libia. Chiedeva 7000 Usd per l’Italia

In aula anche alcune delle vittime del 22enne somalo Osman Matammud

Osman Matammud

Condannato all’ergastolo, con isolamento diurno per i primi tre anni. Si è chiuso così il processo milanese a carico di Osman Matammud, il 22enne somalo accusato di aver diretto il campo profughi di Bani Walid, in Libia, dove avrebbe sequestrato, torturato e seviziato decine di suoi connazionali. L’imputato, che si è sempre proclamato innocente ed era presente in aula al momento della lettura del verdetto, ci ha provato fino all’ultimo a convincere il Tribunale: “Ho detto la verità, non ho mentito, non ho commesso nessun reato. Spero nella giustizia e nella vostra correttezza”, è stato il suo ultimo appello ai giudici. Tutto inutile: la Corte d’Assise di Milano ha accolto la richiesta del pm Marcello Tatangelo e lo ha giudicato colpevole di sequestro di persona a scopo di estorsione di alcune centinaia di profughi, violenza sessuale di decine di giovani ragazze. L’accusa di omicidio volontario è invece caduta, riassorbita in quella di sequestro aggravato dalla norte di alcune delle vittime. Torture e sevizie compiuti, secondo la ricostruzione dell’accusa, per spingere i profughi detenuti nel centro di raccolta libico a pagare 7 mila dollari per raggiungere l’Italia a bordo di barconi. Sono state le stesse presunte vittime del presunto torturatore (17 quelle ascoltate come testimoni nel processo milanese) a descrivere minuziosamente tutte atrocità subite all’interno del lager libico. Un centro di raccolta dotato di una vera e propria stanza delle torture, dove i profughi somali sarebbero stati tormentati con scariche elettriche, sacchetti di plastica incendiati e fatti sciogliere lentamente sulla loro schiena ma anche pestati selvaggiamente a colpi di tondini di ferro, fino alla rottura delle ossa. Le donne hanno invece raccontato di stupri e sevizie quotidiane compiute da Matammud anche su giovanissime minorenni. Alcune delle vittime erano presenti oggi in aula alla lettura della sentenza.