Esperienze premorte: 18% pazienti in coma vede tunnel
Le esperienze di premorte, meglio note in termini scientifici come Near Death Experience, stanno conoscendo un interesse crescente. Trascurate nel secolo scorso e archiviate come fenomeni pseudo paranormali o afferenti a patologie psichiatriche, le Nde secondo recenti studi presentano una precisa epidemiologia, sono state misurate e non sono eventi così labili e sporadici come si potrebbe immaginare. L’incidenza è intorno al 10% e in alcune particolari casistiche, arrivano fino al 18 per cento, ad esempio in pazienti in arresto cardiaco. Lo racconta il professor Enrico Facco (foto), docente di Anestesiologia e Rianimazione presso l’Università di Padova e specialista in Neurologia e terapia del dolore. Facco, autore di “Esperienze di premorte – Scienza e coscienza al confine tra fisica e metafisica”, edizioni Altravista, analizza una ventina di casi di pazienti che hanno vissuto esperienze di uscita dal corpo e di vita oltre la vita.
Elemento comune nella casistica sulle esperienze di premorte è il noto passaggio nel tunnel che conduce in una dimensione dalla caratura sovrannaturale. In questo saggio di quasi quattrocento pagine Facco racconta le esperienze di 20 pazienti rilevate con la scala di Greyson, elaborata proprio per misurare il grado di vividità delle Nde, il docente padovano si addentra poi in un excursus storico e filosofico sul concetto di ritorno dal confine con la vita. “Le Nde sono esperienze di tonalità mistica molto forte – spiega il professor Facco – in cui il paziente ha la sensazione di entrare in un tunnel e di vedere una luce nel fondo di esso. La maggior parte di loro racconta di avere incontrato parenti defunti o persone sconosciute, probabilmente defunte. Inoltre, vengono descritti contatti con entità superiori.
Per quasi tutti i soggetti analizzati è presente una revisione olografica di tutta la propria vita, quasi se ne dovesse fare un bilancio. Tutti sperimentano una gioia e una serenità di straordinaria profondità e intensità, solo in una esigua minoranza si è assistito ad esperienze con qualche tonalità spiacevole. In buona sostanza non siamo di fronte a forme di delirium o di alterazione organica transitoria del cervello senza alcun significato”. I casi di Nde sono esperienze universali che avvengono a tutte le latitudini del mondo. Sull’argomento esiste una letteratura molto nutrita, fin dai tempi più antichi: da Eraclito a Platone, fino ai Veda indiani. Ciò che viene riscontrato costantemente è il cambio di paradigma che avviene nella vita delle persone che ritornano dal viaggio alla fine della vita. “Le Nde hanno un enorme valore trasformativo e portano il paziente a superare la paura della morte. Molti cominciano a vedere la vita sotto un altro profilo e ad elaborare nuove e diverse prospettive metacognitive. Per gran parte dei pazienti esaminati avviene una fase fisiologica di crisi e di trasformazione in cui il soggetto, partendo dalla sua visione precedente della vita, elabora una nuova strategia di intendere la vita e il mondo in un senso cognitivamente più evoluto e più bello”.
Alcuni dei pazienti, si parla di una percentuale molto ridotta, torna addirittura con poteri di chiaroveggenza o telepatia che prima non aveva. La scienza tradizionale guarda ai casi di premorte con meno sospetto di un tempo. La comunità scientifica internazionale prende spunto dalla Nde per studiare i meccanismi che governano le funzioni cerebrali e gli stati alternativi di coscienza che sono, al momento, ancora sconosciuti. Ad esempio, il fenomeno del tunnel è stato spiegato come il naturale restringimento della retina che potrebbe giustificare una simile visione. Il professor Facco è entrato nel merito di questa ipotesi scientifica. “L’idea del restringimento a tunnel, ad esempio, lo si riscontra nei piloti sottoposti ad accelerazione gravitazionaria molto forte. Presentano un restringimento del campo visivo prodotto da alterazioni circolatorie legate alla brusca accelerazione. In realtà succede solo in quel caso. In tutti gli altri pazienti il restringimento a tunnel nel caso di arresto cardiaco o svenimento non sembra essere riportato in letteratura. Tra l’altro, in arresto cardiaco, si arresta prima la funzione della corteccia cerebrale di quanto non si fermi la retina. Non c’è, dunque, tempo per realizzare questo tipo di esperienza. Il restringimento del campo visivo non può, in ogni caso, spiegare la successiva visione della luce al termine del condotto e l’entrata in un paesaggio metafisico”. Al momento la scienza ha classificato quattro casi rigorosamente confermati di Near Death Experience. I primi due sono riportati da Michael Sabom, noto cardiologo statunitense e da Allan Hamilton neurochirurgo di Harvard, gli altri sono studi multicentrici di assoluto rigore scientifico.
“In questi quattro casi – ha evidenziato il professor Facco – i pazienti dopo avere subito un improvviso arresto cardiaco, o avere cessato di avere funzioni cerebrali durante un’anestesia generale molto profonda, hanno testimoniato la precisa visione dei dettagli di quello che era successo attorno al loro corpo in questa fase. Ciò cozza contro le nostre convinzioni di tipo neurologico e neurofisiologico e di questo non abbiamo ancora una spiegazione”. Il problema è capire se c’è qualcosa che ancora noi non sappiamo delle leggi di natura e della fisiologia della coscienza rispetto a quello che abbiamo conosciuto fino adesso. “Non si tratta né di affermare o provare l’esistenza dell’anima – puntualizza il docente padovano – bensì di studiare e sviluppare aspetti sconosciuti, con metodo rigorosamente scientifico, per smentire o confermare quale è la fenomenologia della coscienza in queste situazioni apparentemente paradossali”. Ma a che punto si trova la ricerca sulle esperienza di premorte? “La comunità internazionale – sottolinea Facco – sta lavorando alacremente.
Ormai la scienza è ubiquitaria nel mondo. Esiste un gruppo nutrito di studiosi e scienziati che lavorano in un quadro di multidisciplinarità: anestesia, rianimazione, psicologia, neurologia e psichiatria che si occupano specificamente di queste esperienze di premorte e, in generale, di quello che ho definito come manifestazioni non ordinarie della coscienza. L’ultimo studio è stato pubblicato il mese scorso da Sam Parnia, medico americano, il quale ha completato uno studio multicentrico su 2mila casi. In esso ha compiuto un’analisi molto approfondita delle esperienze di premorte, superando il concetto di Nde come esperienza dai requisiti già conosciuti, ma cercando di capire come funzioni la coscienza in condizioni critiche ai confini della vita anche attraverso altre possibili manifestazioni”.