Ex Ilva, dalla Corte diritti dell’Uomo 4 nuove condanne a Italia
Violati gli articoli 8 e 13 della Convenzione diritti dell’Uomo
In quattro diverse sentenze emesse oggi a Strasburgo, riguardanti le emissioni inquinanti prodotte dallo stabilimento siderurgico ex Ilva di Taranto e i loro effetti sulla popolazione locale, la Corte europea dei Diritti dell’uomo ha ribadito che lo Stato italiano ha violato l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione dei Diritti dell’Uomo del Consiglio d’Europa, come aveva già stabilito con la sentenza Cordella del 24 gennaio 2019. I quattro ricorsi erano stati presentati da cittadini italiani (tre nel primo, “Brigani e altri”, 207 nel secondo, “A.A. e altri”, 39 nel terzo “Ardimento e altri”, e 11 nel quarto, “Perelli e altri”), molti dei quali dipendenti o ex dipendenti dell’ex Ilva. Nelle sentenze di oggi, la Corte ha ricordato che “i principi generali relativi ai danni all’ambiente che possono incidere sul benessere delle persone sono stati sintetizzati nella sentenza Cordella”. In questa sentenza, che essa stessa definisce “storica”, la Corte aveva concluso “che la gestione da parte delle autorità nazionali delle questioni ambientali relative all’attività produttiva della società Ilva de Taranto era ad un punto morto”. Aveva altresì rilevato “il protrarsi di una situazione di inquinamento ambientale pericoloso per la salute dei ricorrenti e, più in generale, dell’intera popolazione residente nelle aree a rischio”.
Inoltre, la Corte aveva ritenuto “che le autorità nazionali non avessero adottato tutte le misure necessarie per garantire l’effettiva tutela del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata, e che non era stato rispettato il giusto equilibrio per gestire, da un lato, l’interesse dei ricorrenti a non subire gravi danni all’ambiente che potessero pregiudicare il loro benessere e la loro vita privata e, d’altro lato, l’interesse della società nel suo insieme”. Pertanto, la Corte aveva concluso che “l’articolo 8 della Convenzione era stato violato”. La Corte aveva poi ritenuto “che nessuna azione penale, civile o amministrativa potesse raggiungere l’obiettivo delle persone interessate di ottenere la bonifica dell’area colpita e che anche l’articolo 13 della Convenzione era stato ignorato”. Nelle sentenze di oggi, “dopo aver esaminato tutte le prove ad essa presentate”, la Corte “non rileva alcun fatto o argomento idoneo a convincerla a pervenire a una conclusione diversa sulla fondatezza delle doglianze dei ricorrenti”.
La Corte inoltre rileva che il procedimento per l’esecuzione della sentenza Cordella “è pendente dinanzi al Comitato dei Ministri” del Consiglio d’Europa. Risulta dal verbale della sua riunione del 9-11 marzo 2021 “che le autorità nazionali non hanno fornito informazioni precise circa l’effettiva attuazione del piano ambientale, elemento essenziale affinché il proseguimento del funzionamento dell’acciaieria non rappresenti un rischio per la salute”. A questo riguardo, la Corte ribadisce “che i lavori di bonifica dello stabilimento e del territorio interessato dall’inquinamento ambientale occupano un posto primordiale e urgente” e che “il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali, contenente l’indicazione delle misure e le azioni necessarie per garantire la tutela dell’ambiente e della salute della popolazione, deve essere attuate quanto prima”, come già aveva sottolineato nella sentenza Cordella. Alla luce della sua giurisprudenza in materia, la Corte conclude pertanto “che il diritto dei ricorrenti interessati al rispetto della loro vita privata e il loro diritto a un ricorso effettivo, tutelati rispettivamente dagli articoli 8 e 13 della Convenzione, siano stati violati”. La Corte chiede quindi allo Stato italiano di pagare delle somme ai ricorrenti, diverse a seconda dei casi specifici. Le richieste di una parte dei ricorrenti riguardanti altre presunte violazioni della Convenzione non sono stati invece accettati.