Fariba e le 4.000 misteriose guerriere ninja dell’Iran. Undici anni per diventare professioniste
AL SERVIZIO DEGLI AYATOLLAH Nella Repubblica degli ayatollah, queste donne maneggiano pugnali, spade e coltelli, sono appassionate di guerra, scalano muri e imparano a uccidere in silenzio di Corrado Accaputo
di Corrado Accaputo
Maneggia la spada con entrambe le mani, la agita velocemente in aria prima di sfiorare il collo del suo avversario. Se lo desidera, Fariba può recidergli la testa in un batter d’occhio. È preparata per questo, 11 anni di allenamento per diventare una ninja professionista. Fariba è una delle 4.000 donne iraniane addestrate nell’arte marziale del ninjutsu, una disciplina di combattimento che consente di mutilare o uccidere l’avversario con tecniche di lotta importate dal Giappone del V secolo. Nella Repubblica degli ayatollah, queste donne maneggiano pugnali, spade e coltelli, sono appassionate di guerra, scalano muri e imparano a uccidere in silenzio. Sono anche diventate un caso internazionale. Nel 2012 l’Iran ha espulso dal Paese l’agenzia di stampa Reuters, responsabile di avere pubblicato un articolo su di loro. “L’Iran addestra 3.000 potenziali assassine”, spiegò l’agenzia britannica. Teheran negò: non si tratta di assassine e neppure di 3.000. Il numero, però, è certamente cresciuto: in quattro anni, secondo una nuova inchiesta del Mundo, la passione per il ninjutsu ha contagiato in totale 4.000 donne iraniane. Nel centro di una stanza, a piedi nudi sul tatami, Fariba fa acrobazie e impugna la spada con un’agilità che inevitabilmente ricorda i film dei samurai giapponesi. “Non equivocate! Non abbiamo nulla a che fare con i samurai. Siamo soggette a rigide regole di lotta. I ninja sono liberi, attaccano di sorpresa, senza essere visti, con armi segrete. Le nostre tecniche sono molto più libere”, ha chiarito Akbar Faraji, maestro ninja persiano che circa 30 anni fa ha introdotto quest’arte marziale in Iran.
Negli anni ’80, Akbar Faraji insegnava tecniche di auto-difesa per soldati dell’esercito d’Iran durante l’invasione dell’Iraq. Poi ha scoperto questa disciplina giapponese e adesso gestisce l’unico club Bujinkan della Repubblica islamica, organizzazione internazionale di arti marziali a Karaj, a 50 chilometri da Teheran. Un impegno non limitato: Faraji ha una squadra di 70 discepoli in tutto il territorio nazionale. E un numero elevatissimo di allieve. “Praticare questo sport rende più difficile trovare un partner, perché un uomo spera di essere più forte di te, ma nel nostro caso questo non accade quasi mai”, ha spiegato Fariba. La sua forza traspare anche dal suo sguardo, dal tono della voce, dal linguaggio del corpo, in contrasto con la delicatezza fragile di molti iraniani. Lei è anche un maestro ninja e insegna l’arte marziale a bambini e bambine. Quando i suoi allievi compiono dieci anni, vengono affidati a un maestro. A quell’età, in Iran, i maschi e le femmine non dovrebbero stare insieme. La palestra dove si allenano è un posto modesto. Si trova nel seminterrato di un edificio, è protetto da una tenda come tutti gli spazi pubblici iraniani che ospitano le donne: bagni, negozi di lingerie, moschee. Perché va bene l’addestramento, ma la legge deve essere rispettata, e gli uomini e le donne devono rimanere separati. Ninja sì, ma mai sfiorarsi. E neppure incrociare gli sguardi. E’ per questo che il maestro Akbar Faraji rappresenta un’anomalia. O meglio, un’eccezione autorizzata. Un uomo che si allena con le donne. Anzi, un uomo che allena le donne. “Ho progettato strumenti che mi permettono di insegnare loro l’arte ninja senza toccarle”, precisa.
“Non ci prepariamo per ferire o fare del male a qualcuno. Né siamo poliziotti o spie, ma sicuramente questo adddestramento ci è utile per l’autodifesa e ci dà delle capacità che le persone normali non hanno”, commenta Fariba. “Un giorno”, ha raccontato, “un uomo ha provato a molestarmi per strada e, per fortuna, ho potuto difendermi”. Accanto a lei c’è Melika. La sua destrezza nella lotta è indiscutibile. Ci tiene a dire che quello dei ninja non è un corpo militare. “L’esercito è un’altra cosa”, afferma. “Qui siamo libere. Viviamo l’arte ninja come una filosofia di vita, ci aiuta a sopportare le difficoltà della vita di tutti i giorni, ad essere pazienti, forti e disciplinate. È un’arte spirituale. Non stiamo cercando di combattere nessuno al di fuori della palestra”. Le lezioni si tengono spesso in montagna, all’aperto, dove i ninja possono nascondersi meglio e mimetizzarsi. Ma in un paese con quattro servizi di intelligence, un esercito regolare e una forza paramilitare rivoluzionaria composta da più di 120.000 soldati, sorprende che queste donne – ma anche uomini, con 8.000 combattenti ninja in tutto il paese – non facciano parte di alcun apparato militare. Anche se, in verità, non mancano le proposte. Ed è facile capire perché: “imparano a scalare pareti, a saltare muri e recinzioni senza essere viste, a nascondersi in montagna e tagliare la gola al loro nemico senza fare rumore. Possono ucciderti in un secondo”. Fariba ha rivelato di avere ricevuto delle proposte da polizia ed esercito, e di averle respinte. A lei basta la palestra. E finito l’allenamento, l’abito nero lascia il posto a camicie e hijab colorati. Così vestita, nessuno direbbe che si tratta di una temibilissima ninja persiana. (foto archivio)