di Corrado Accaputo
Di qui l’esigenza per i nostri apparati di intelligence di chiudere la questione in tempi molto rapidi: un passaggio di consegne complicherebbe non poco il sequestro, attribuendo al rapimento una ben più intricata valenza politica. Con l’Algeria a Sudovest, il Niger e il Ciad a Sud, la minaccia è duplice. Il deserto algerino ospita da tempo organizzazioni jihadiste da sempre vicine o affiliate ad al Qaida nel Maghreb islamico. L’Africa nera è invece la tradizionale area di influenza di Boko Haram. E proprio allo spietato gruppo nigeriano guardano con sempre maggiore insistenza gli uomini del Califfo nero. Un sodalizio, non solo ideologico, che avrebbe effetti devastanti in un continente sterminato e incontrollabile. Un sequestro a scopo di estorsione sarebbe invece, almeno sulla carta, più semplice da gestire, sebbene non dai risultati scontati. La regione è terreno di scontro fra Tuareg e Tebu, che da tempo se ne contendono il controllo e il traffico delle attività illecite. Da circa un anno le due parti hanno raggiunto un fragile accordo di tregua, anche grazie alla mediazione internazionale e al monitoraggio delle truppe francesi che hanno stabilito le loro basi in Niger e Ciad nell’ambito della presenza militare di Parigi nel Sahel. Ma la tensione resta alta e ancor di più lo è da quando anche l’Isis ha preso di mira la regione. I dieci giacimenti di petrolio individuati nel Fezzan fanno gola anche al Califfo al Baghdadi: nella partita a scacchi per la stabilità della Libia, le cancellerie europee ne devono tener gran conto.