di Barbara Acquaviti
Tre gruppi in uno. E’ questa l’immagine di Forza Italia che emerge dopo il voto finale sulle riforme. Ma anche la spaccatura in tre rischia di essere ottimistica: 17 fittiani, 17 tra verdiniani e dintorni, e poi tutto il resto. E tutto il resto vuol dire 35 deputati tra cui, però, non c’è un idem sentire. Certo, formalmente, il gruppo vota in maniera compatta: a eccezione di Gianfranco Rotondi, infatti, tutti decidono di raccogliere l’appello all’unità di Silvio Berlusconi e votare contro le riforme. Anche perché in ballo c’è la sentenza della Cassazione sul processo Ruby e i timori del leader azzurro di dover affrontare – con le truppe dimezzate – un procedimento del quale pensava di essersi liberato. Per questo, alla fine, il Cav si spinge addirittura a dire che “le cassandre che sui giornali descrivevano il nostro come un movimento politico lacerato, diviso in mille fazioni e pronto ad esprimersi in ordine sparso, sono state smentite dal senso di responsabilità dei nostri rappresentanti”.
LA TELEFONATA Ma l’ex premier sa meglio di chiunque altro che le cose non stanno così. Lui stesso si è dovuto mettere al telefono per contattare personalmente i perplessi e i deputati più vicini all’ex garante del patto del Nazareno (oltre pare al diretto interessato): tra loro almeno 5-6 erano pronti a votare a favore del ddl Boschi, il che sarebbe equivalso a schierarsi apertamente contro il proprio leader e a favore del governo. Alla fine la nuova fronda decide di votare in linea con il resto del gruppo come moto di affetto nei confronti del Cavaliere ma anche di marcare una netta distanza rispetto alla scelta. Distanza che viene messa nero su bianco in un documento sottoscritto da 17 deputati in cui si parla apertamente di gruppo non unito e di una conduzione dei deputati caratterizzata “quotidianamente” da “un deficit di democrazia, partecipazione ed organizzazione”. Una vera e propria messa in stato d’accusa di Renato Brunetta. Che, chiaramente, non la prende bene.
LA NOTA Passa qualche ora ed è Berlusconi a firmare una nota in cui bacchetta i sottoscrittori del documento e li invita a “evitare protagonismi”. Il ruolo di capogruppo dell’ex ministro della Pubblica amministrazione sembra dunque salvo. Cosa che avrebbe creato malumori in un altro gruppetto di deputati, più vicini a Maria Stella Gelmini, che pur tra mille perplessità per la linea considerata troppo filo leghista di queste ultime settimane, hanno alla fine deciso di non “distinguersi” né attraverso il voto né attraverso un documento. Pare che il manipolo avesse già in mente il nome di un nuovo capogruppo: Elio Vito, ma in alternativa anche Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo. Ecco perché parlare di tre gruppi in uno rischia di essere una stima al ribasso. Ma adesso i riflettori sono già puntati sul Senato: perchè se quello dei “verdiniani” alla Camera è stato un segnale, a palazzo Madama potrebbe trasformarsi in un soccorso. Una grana di cui presto Berlusconi dovrà occuparsi. Ora però in cima ai suoi pensieri ci sono le questioni giudiziarie. Il timore del Cavaliere è quello di ritrovarsi in un gorgo di cui il remake del processo Ruby sarebbe solo un inizio.