Forza Italia, debutto Toti-Carfagna. Ma restano i malumori
Azzurri divisi, “serviva segnale cambiamento”. “Giovanni traditore”. Spicca il ‘silenzio’ di Tajani
Chi sperava che la nomina del tandem Carfagna-Toti potesse riportare il sereno in casa Forza Italia si è sbagliato di grosso. Non sono passate nemmeno 24 ore dall’investitura ufficiale e i neo coordinatori nazionali che oggi hanno debuttato in piazza (Montecitorio) con tanto di conferenza stampa on the road, già fanno discutere e dividono il partito. Da una parte, c’è chi esulta per la ”svolta”, convinto che “bisognava dare subito un segnale di cambiamento, perché l’immobilismo avrebbe condannato a morte sicura un movimento ridotto ai minimi storici come dimostra l’8,9% del voto europeo”.
Dall’altra, c’è chi citando il Gattopardo (”bisogna cambiare tutto per non cambiare nulla”), non crede alla ‘rivoluzione azzurra’, né all’apertura di Silvio Berlusconi sulle primarie e considera Giovanni Toti un ”traditore”, che è stato ”premiato dopo aver remato contro”. Come sempre nei momenti più delicati, nessuno vuol parlare apertis verbis, ma i malumori, per ora solo sopiti e congelati, restano, eccome. Molti, non solo i peones, non hanno digerito la promozione del governatore ligure, fino all’altro ieri capofila del ‘fuoco amico’, pronto a lanciare il 6 luglio un nuovo contenitore politico per svuotare Forza Italia, a tutto vantaggio della Lega.
”In questo partito chi rema contro e spara a pallettoni su tutto e tutti, viene promosso e chi è leale resta al palo”, si lascia scappare un big azzurro, che fa notare anche l’assenza di Toti ieri all’assemblea dei gruppi, dove è stato annunciato il ticket con la vicepresidente della Camera. ”Basta fare i ribelli per essere premiati”, rincara la dose un azzurro, che non risparmia stilettate nei confronti della Carfagna, portavoce delle istanze sudiste. Spicca poi il ‘silenzio’ di Antonio Tajani, impegnato in questi giorni al Consiglio europeo che ancora non ha commentato le nuove nomine.
”Così abbiamo ufficializzato le correnti”, dice a mezza bocca un parlamentare in Transatlantico, a Montecitorio, che avrebbe preferito un ‘board’ al tandem. ”Affidare il partito a una diarchia, significa che Berlusconi ha abdicato”, si lamenta un altro. ”Ora si parla di primarie, ma di quale anno? visto che c’è solo un accenno in una nota del Cav senza modi e tempi”, si lascia scappare un esponente forzista della prima ora. Né è bastato a placare gli animi dei malpancisti l’idea dei ‘totiani’ di ‘depotenziare’ l’iniziativa del 6 luglio al teatro Brancaccio di Roma (‘L’Italia in crescita’), trasformandola in “una manifestazione dell’intero partito e non nell’occasione per battezzare un nuovo movimento”.