E’ una soglia psicologica, ma è anche una soglia di “sopravvivenza”. A 25 anni dalla discesa in campo, Forza Italia – e il suo leader Silvio Berlusconi – si trovano ad affrontare forse l’elezione più difficile. La linea di galleggiamento è nella doppia cifra: l’obiettivo minimo per dimostrare di contare ancora è il 10%. Non certo un risultato ambizioso se si pensa che alle Politiche del 4 marzo aveva ottenuto il 14% e alle precedenti Europee il 16,8%, conquistando 13 seggi. Ma da allora il mondo, soprattutto quello del centrodestra, è cambiato: Matteo Salvini ha invertito i rapporti di forza tra Lega e Fi e anche Giorgia Meloni, adesso, pensa di poter fare le scarpe al Cavaliere, andando a rosicchiare consensi che erano suoi, addirittura provando a superarlo. Dopo molte resistenze Berlusconi, tornato candidabile, ha deciso di giocare in prima persona questa partita, guidando tutte le liste tranne quella del Centro, dove in cima ai candidati c’è il vice presidente del partito, Antonio Tajani.
Una campagna elettorale, quella dell’ex premier per le Europee, giocata totalmente in televisione e anche più corta del previsto: hanno pesato i problemi di salute e l’operazione a cui si è dovuto sottoporre recentemente, nonostante il recupero in tempi record. L’obiettivo politico principale del Cavaliere è quello di dimostrare che non esiste nessun centrodestra senza Forza Italia, che chi pensa di andare al governo del Paese senza di lui continua a fare i conti senza l’oste. E, invece, i vecchi alleati, che non disdegnano il suo sostegno a livello locale e regionale, sembrano puntare dritti a un’alleanza de-berlusconizzata. E’ pur vero che i tre partiti del fu centrodestra in Europa sono collocati in tre famiglie diverse e che Forza Italia è fiero esponente di quel Ppe che Lega e Fratelli d’Italia hanno gioco facile a considerare come il partito degli “avversati” Merkel e Junker. Berlusconi, tuttavia, pensa che ci sia un modo per superare questo problema: dare vita a un centrodestra europeo, che tenga insieme i popolari, i conservatori e i sovranisti e che, dunque, ponga fine alla storica ‘grosse coalition’ tra Ppe e Pse.
Per ora, l’obiettivo di tutto il partito è quello di spingere le liste di Forza Italia e il nome di Berlusconi, anche per “spegnere” l’effetto delle inchieste che hanno interessato gli azzurri soprattutto in Lombardia: in nome di questo traguardo è stata riposta momentaneamente l’ascia di guerra. Ma il conflitto interno è destinato ad esplodere ben presto. Perché anche se Silvio Berlusconi giura che lui sarà sempre presente, la lotta per guidare quello che resterà di Forza Italia è già cominciata. Non c’è soltanto l’eretico Giovanni Toti, che continua a chiedere rinnovamento ma sembra più interessato al progetto di seconda gamba sovranista di Giorgia Meloni. Il partito è diviso, una spaccatura che non si può più nemmeno semplicisticamente riassumere in Nord-Sud. In discussione c’è il rapporto con la Lega che, è vero, piace soprattutto in Lombardia e molto meno in Campania e Sicilia (tra i volti dell’anti-salvinismo soprattutto Mara Carfagna). Ma c’è anche una perenne lotta tra l’inner circle berlusconiano e chi è convinto che il leader venga ormai da tempo mal consigliato. L’esplosione non è in dubbio, ma dall’esito delle Europee dipenderà certamente il grado di potenza della deflagrazione. askanews