La Commissione europea continua ad essere fortemente reticente rispetto all’ipotesi di fissare un tetto al prezzo del gas generalizzato per tutte le forniture, e non solo per quelle provenienti dalla Russia. E rischia, su questo, di entrare in rotta di collisione con la maggioranza degli Stati membri, almeno 15 finora, comprese Italia, Francia, Spagna e Polonia, durante la discussione al Consiglio Ue straordinario dei ministri dell’Energia che si terrà oggi a Bruxelles. L’Esecutivo comunitario ha confermato di voler imporre un tetto al prezzo solo per il gas russo importato (che è ormai diventato residuale nell’approvvigionamento dell’Ue, rappresentando oggi il 9% delle importazioni rispetto al 40% dell’anno scorso).
In più, la Commissione ha annunciato altre due proposte. La prima è quella di elaborare e lanciare un nuovo indicatore del mercato del gas, che verrebbe affiancato al Ttf di Amsterdam, e sarebbe dedicato specificamente al Gnl (gas naturale liquefatto); il Ttf, che sostanzialmente determina il prezzo del gas sul mercato europeo, finisce con l’attribuire anche al Gnl i rincari del gas dovuti alle manipolazioni delle forniture da parte di Gazprom, tanto che oggi il gas liquefatto nell’Ue si paga grosso modo il doppio che in Asia. E il Gnl è sempre più, per gli europei, l’alternativa al gas russo. La seconda proposta, completamente nuova, è quella di imporre un tetto al prezzo del gas usato per generare elettricità. E’ sostanzialmente il “modello iberico”, già in vigore in Portogallo e Spagna. In sostanza, il prezzo del gas sul mercato elettrico verrebbe “amministrato” dallo Stato. Da notare che sarebbe poi il sistema elettrico nazionale in ogni paese a farsi carico di pagare la differenza fra il prezzo di mercato del gas e quello imposto con il “price cap”. In sostanza, questo sistema comporta un intervento pubblico che peserebbe sui bilanci degli Stati membri.
Tutte queste proposte sono state illustrate oralmente dalla Commissione mercoledì pomeriggio ai rappresentanti degli Stati membri presso l’Ue, e poi diffuse in serata con un nuovo “non paper” (ovvero un documento che in teoria non dovrebbe poter essere attribuito al proprio autore), che è stato anche inviato alla stampa ieri. Si tratta delle questioni che erano rimaste in sospeso dopo l’ultima proposta di una serie di misure d’emergenza contro i rincari energetici, varata il 14 settembre, e anche in quel caso preceduta dalla pubblicazione di un “non paper”. Il Consiglio Energia oggi dovrebbe trovare un accordo su quella prima serie di misure proposte due settimane fa, e in particolare: 1) una riduzione obbligatoria del 5% della domanda elettrica, da effettuare nelle ore di punta in tutti gli Stati membri; 2) un tetto ai ricavi per le aziende “infra marginali”, che forniscono energia da fonti rinnovabili e nucleare sul mercato elettrico; 3) un prelievo sugli extra profitti delle aziende che forniscono elettricità da fonti fossili. Negli ultimi due casi, le risorse raccolte verrebbero redistribuite ai consumatori (famiglie e imprese) più vulnerabili, per compensare i rincari.
L’Italia e gli altri paesi che insistono per il “price cap” generalizzato alle forniture di gas, di qualunque provenienza, non sembrano intenzionati a desistere davanti alle manovre temporeggiatrici della Commissione, che nel suo “non paper” sostanzialmente fa finta di prendere in considerazione questa ipotesi, per poi demolirla sistematicamente, liquidandola in poco più di una paginetta con argomentazioni che sottolineano quanto sarebbe complicato e difficile realizzarla. L’Esecutivo comunitario appare fortemente, addirittura ideologicamente contrario ad adottare una misura che si configurerebbe come un intervento d’autorità dello Stato sul libero mercato, nel quale – sostiene il “non paper” – è proprio la libera formazione dei prezzi che garantisce il flusso del gas laddove ce n’è bisogno. E’, chiaramente, la posizione tedesca: mantenere i prezzi dell’energia a un livello ragionevole per i consumatori è meno importante della sicurezza dell’approvvigionamento, a qualunque costo, per garantire la produzione della grande industria manifatturiera ed energivora. Fonti diplomatiche hanno spiegato a Bruxelles che in realtà altre soluzioni applicate dalla Commissione, come ad esempio lo stoccaggio comune del gas, non erano meno complicate, e includevano obblighi imposti dai poteri pubblici e interventi dello Stato sui mercati. Solo in questo caso particolare la Germania era favorevole alla misura.
Un altro elemento da considerare, infine, è quello della differenza fra la proposta del “price cap” generale e quella di applicarlo solo al gas usato dalle centrali elettriche. Nel primo caso, l’obiettivo è abbassare direttamente il costo dell’energia per tutti i consumatori, senza implicazioni per i bilanci degli Stati; nel secondo caso, come propone la Commissione, vi sarebbe, sì, una riduzione delle bollette elettriche, ma finanziata dall’intervento degli Stati. Ancora una volta, ci si ritroverebbe nello scenario già visto durante gli anni dell’austerità (e rimosso solo con le misure del piano di Recovery post-Covid): una divergenza fra i paesi con un buon margine di bilancio come la Germania e l’Olanda, favoriti in partenza, e quelli con poco margine, come l’Italia e gli altri paesi del Sud, che sarebbero costretti a indebitarsi ancora di più sui mercati. La Germania e l’Olanda, oltretutto, non avrebbero problemi a sovvenzionare le loro aziende nell’ambito del regime Ue temporaneo d’emergenza sugli aiuti di Stato, che la Commissione ha attivato subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina e l’aggravarsi della crisi energetica.