Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si trovano in un acceso confronto diplomatico, alimentato dalle tensioni crescenti nella Striscia di Gaza. Questo scontro verbale riflette le divergenze tra i due leader su come gestire la delicata situazione e raggiungere un accordo che ponga fine alla guerra e consenta la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas.
La critica di Biden a Netanyahu
Joe Biden ha apertamente criticato Netanyahu per il mancato raggiungimento di un accordo che ponga fine al conflitto a Gaza. Secondo il presidente statunitense, l’intesa tra Israele e Hamas è “molto vicina”, ma ha accusato il primo ministro israeliano di “non fare abbastanza” per finalizzarla. Questa presa di posizione di Biden non è casuale: tra gli ostaggi detenuti da Hamas ci sono cittadini statunitensi, e l’Amministrazione Biden sta lavorando da mesi con Egitto e Qatar per mediare un accordo.
L’assenza di progressi significativi ha portato Biden a intensificare la sua pressione su Netanyahu, evidenziando la necessità di una rapida risoluzione del conflitto, non solo per motivi umanitari, ma anche per motivi politici interni agli Stati Uniti, con le elezioni di novembre all’orizzonte.
La replica di Netanyahu
La risposta di Netanyahu non si è fatta attendere. Un alto funzionario dell’ufficio del primo ministro israeliano ha definito “sconcertante” la pressione esercitata da Biden su Netanyahu, sottolineando che il leader israeliano aveva già accettato le proposte degli Stati Uniti, prima il 31 maggio e poi il 16 agosto. Il funzionario ha inoltre criticato Biden per non aver esercitato la stessa pressione sul leader di Hamas, Yahya Sinwar, che continua a rifiutare con veemenza qualsiasi accordo.
Le parole di Biden sono state definite “particolarmente pericolose” dal funzionario israeliano, soprattutto considerando che sono state pronunciate pochi giorni dopo l’esecuzione di sei ostaggi israeliani da parte di Hamas, tra cui il cittadino americano Hersh Goldberg-Polin. Questo tragico evento ha ulteriormente esacerbato le tensioni e ha fatto crescere la pressione su Netanyahu, sia a livello interno che internazionale.
Le pressioni e le proteste in Israele
In Israele, la situazione interna è diventata esplosiva. Il ritrovamento dei corpi dei sei ostaggi ha scatenato proteste diffuse contro il governo di Netanyahu, con manifestazioni di massa che chiedono un accordo con Hamas per la liberazione di tutti gli ostaggi. A Tel Aviv è in corso uno sciopero nazionale che ha paralizzato il paese, con aeroporti, scuole e ospedali parzialmente chiusi.
L’opposizione politica ha espresso il suo sostegno alle proteste, aggiungendo ulteriore pressione su Netanyahu, che deve affrontare non solo la rabbia dei familiari degli ostaggi, ma anche le critiche per le sue “nuove” richieste, come la presenza militare israeliana lungo la Philadelphi Route e il corridoio di Netzarim, due aree strategiche al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto e a sud di Gaza City.
Il ruolo degli Stati Uniti nei negoziati
Gli Stati Uniti, intanto, continuano a giocare un ruolo chiave nei tentativi di mediazione. Secondo quanto riportato dal *Washington Post*, l’Amministrazione Biden sta lavorando con Egitto e Qatar per definire un accordo “prendere o lasciare” che intende presentare a Israele e Hamas nelle prossime settimane. Se le parti non dovessero accettarlo, questo potrebbe segnare la fine dei negoziati promossi dagli Stati Uniti.
Nonostante il ritrovamento dei corpi degli ostaggi, un funzionario statunitense ha affermato che questo sviluppo non dovrebbe “deragliare” l’accordo, ma piuttosto aggiungere ulteriore urgenza alla fase finale delle trattative. Tuttavia, il clima di tensione in Israele e la riluttanza di Hamas a cedere alle richieste israeliane rendono il raggiungimento di un accordo estremamente complesso.
La prospettiva dei negoziati
Dennis Ross, ex ambasciatore americano in Israele, ha osservato che è improbabile che Yahya Sinwar, leader di Hamas a Gaza, cambi posizione, poiché nessuno sembra essere in grado di esercitare pressioni efficaci su di lui. Tuttavia, Ross ha sottolineato che la crescente pressione interna in Israele potrebbe costringere Netanyahu a impegnarsi più seriamente nei negoziati.
Il recente sciopero generale in Israele, sostenuto dai parenti degli ostaggi, rappresenta una sfida significativa per Netanyahu. I critici affermano che la sua strategia di negoziazione è fallita, sia per quanto riguarda il dialogo con Hamas che per l’aumento della pressione militare israeliana sul gruppo.
Un futuro incerto
In sostanza, la situazione rimane estremamente fluida e complessa. Mentre Biden continua a spingere per un accordo, Netanyahu si trova sempre più isolato sia a livello internazionale che domestico. La morte dei sei ostaggi ha complicato ulteriormente i negoziati, rendendo incerto il futuro della crisi a Gaza. Il prossimo incontro di Biden con i negoziatori americani, previsto nelle prossime settimane, potrebbe essere cruciale per determinare se un accordo sarà finalmente raggiunto o se il conflitto continuerà a infuriare, con conseguenze devastanti per tutte le parti coinvolte.