Nel contesto dell’escalation di violenza tra Israele e Gaza, le Nazioni Unite hanno raggiunto un importante passo avanti nella ricerca di una soluzione pacifica. Per la prima volta dall’inizio dell’offensiva israeliana a Gaza, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione presentata dal Mozambico, chiedendo un cessate il fuoco immediato nella Striscia. Questo evento segna un momento significativo poiché supera i precedenti veti incrociati, con il nuovo documento che ha ottenuto 14 voti a favore e l’astensione degli Stati Uniti. La cosa più rilevante è stata però proprio l’astensione degli Stati Uniti, il cui appoggio a Israele si era già indebolito nelle ultime settimane (tutti e tre i paesi, insieme a Regno Unito e Francia, sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con potere di veto: significa che possono bloccare qualsiasi risoluzione).
La risoluzione, proposta dal Mozambico e sostenuta da diversi paesi tra cui Algeria, Giappone e Sud Corea, sottolinea l’importanza di un cessate il fuoco immediato durante il periodo sacro del Ramadan. Si chiede inoltre il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché l’accesso umanitario per affrontare le necessità mediche e umanitarie a Gaza. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha accolto con soddisfazione l’approvazione della risoluzione, sottolineando l’importanza di attuarla senza indugi. Tuttavia, la reazione da parte di Israele è stata di nervosismo, con il primo ministro Benjamin Netanyahu che ha annullato una trasferta di alto livello a Washington in risposta al voto dell’Onu.
La discussione principale durante il processo di approvazione della risoluzione si è concentrata sul termine “durevole” in riferimento al cessate il fuoco. La Russia ha proposto un emendamento per sostituire questo termine con “permanente”, ma la proposta non ha trovato consenso, lasciando spazio a interpretazioni e preoccupazioni da parte di Israele riguardo alla possibilità di riprendere le operazioni militari in futuro. Gli Stati Uniti hanno espresso la loro posizione attraverso l’ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield, che ha sottolineato l’importanza del rilascio degli ostaggi come passo fondamentale per avviare il cessate il fuoco. Tuttavia, la decisione degli Stati Uniti di astenersi dal voto ha evidenziato un certo distacco tra Washington e Tel Aviv, con il governo israeliano che ha interpretato questa mossa come un segnale di debolezza.
La reazione del governo israeliano è stata immediata, con Netanyahu che ha criticato apertamente gli Stati Uniti per il loro cambio di posizione, definendolo un “passo indietro chiaro” dalle posizioni precedenti. L’ufficio del primo ministro israeliano ha anche fatto sapere di aver cancellato la visita di una delegazione israeliana prevista per i prossimi giorni a Washington DC, negli Stati Uniti. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno ribadito che la loro politica rimane legata al rilascio degli ostaggi e che l’astensione al voto non dovrebbe essere interpretata come un’escalation da parte di Israele.
In questa complessa situazione, l’ex presidente americano Donald Trump ha cercato di inserirsi per motivi politici, sperando di capitalizzare sul suo sostegno a Israele e sui presunti contrasti tra Tel Aviv e l’amministrazione Biden. Tuttavia, le tensioni tra Israele e Stati Uniti rimangono evidenti, con il futuro della regione ancora incerto e la necessità di un impegno internazionale per raggiungere una soluzione duratura. A più di cinque mesi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, gli Stati Uniti hanno infatti cominciato a criticare con sempre maggior forza il modo in cui Israele sta conducendo la guerra, e soprattutto l’operato del primo ministro Benjamin Netanyahu, considerato uno dei principali ostacoli al raggiungimento di un cessate il fuoco nella Striscia. È una cosa rilevante perché fino a poco tempo fa il governo statunitense aveva sostenuto in maniera quasi incondizionata il governo israeliano.