Due nodi da sciogliere: la richiesta di Hamas di un ritorno dei palestinesi nel nord della Striscia di Gaza e il meccanismo per la distribuzione degli aiuti umanitari. A questo starebbero lavorando i mediatori dell’accordo di pace tra Israele e il movimento estremista palestinese, secondo quanto riportato da alcuni diplomatici arabi interpellati ad “Haaretz”. Secondo le fonti del quotidiano dello Stato ebraico, Israele si opporrebbe al ritorno degli sfollati nel Nord di Gaza, anche nel caso in cui si trattasse solo di donne e bambini. E un evidente disaccordo tra le parti ci sarebbe anche sulle modalità di ingresso e di distribuzione degli aiuti umanitari, essenziali in un territorio in cui si rischia una carestia imminente. In ogni caso, ha affermato un diplomatico a conoscenza del dossier, ci sarebbero progressi sulle questioni relative al rilascio dei prigionieri e alla cessazione temporanea delle ostilità. Per trasformare questi progressi in realtà, ha però avvertito, bisognerà che le parti trovino un accordo su sfollati e aiuti, in questo momento i principali ostacoli all’intesa.
Hamas, in particolare, avrebbe avanzato la richiesta di affidare l’intera gestione dell’assistenza umanitaria all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Secondo gli stessi diplomatici, Hamas ritiene che solo l’Unrwa avrebbe la capacità di favorire l’ingresso e la distribuzione immediata degli aiuti umanitari. Per Israele, però, si tratterebbe di una linea rossa impossibile da superare: alcuni membri dell’organizzazione, infatti, sono stati accusati dallo Stato ebraico di presunta collusione con Hamas. Le autorità israeliane, secondo le fonti, sarebbero inoltre totalmente contrarie anche al coinvolgimento di qualsiasi organizzazione in qualche modo legata al movimento palestinese. Nel tentativo di trovare un punto d’incontro, i mediatori starebbero cercando di raggiungere un accordo su un meccanismo di gestione e distribuzione che sarebbe soggetto alle Nazioni Unite. Al momento però la soluzione sarebbe ancora lontana.
Ieri, d’altra parte, fonti ufficiali a Gaza hanno riferito che Israele ha ucciso il capo della distribuzione degli aiuti civili di Hamas, il quarto funzionario del movimento, addetto all’assistenza umanitaria, a perdere la vita nella Striscia nelle ultime 48 ore. Secondo fonti di Hamas, l’uccisione dei responsabili della distribuzione degli aiuti e del personale di sicurezza sotto il controllo del gruppo palestinese sarebbe un tentativo da parte di Israele di trasmettere un messaggio ai negoziatori sull’indisponibilità ad affidare ad Hamas o a organizzazioni a esso vicini il controllo del meccanismo di distribuzione umanitaria. “La situazione è delicata e complessa, la fame e l’angoscia sono carte che ciascuna parte cerca di utilizzare per i propri interessi nei negoziati”, ha confermato una fonte araba.
Nel frattempo, dopo gli incontri in Arabia Saudita, dove ha discusso della crisi umanitaria a Gaza, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, è arrivato al Cairo per colloqui con il presidente Abdel Fattah Al Sisi e i mediatori locali. Secondo il Dipartimento di Stato americano, Blinken ha discusso con il capo di Stato l’ipotesi di un cessate il fuoco immediato a Gaza per almeno sei settimane e il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza. Una possibile via d’uscita dal conflitto che l’amministrazione di Washington ha messo nero su bianco – parlando per la prima volta esplicitamente di “cessate il fuoco” – in una bozza di risoluzione presentata nelle ultime ore al Consiglio di sicurezza dell’Onu.