Cultura e Spettacolo

Giovanni Allevi: la cultura è la solitudine che cerca un abbraccio

“La cultura, per me, è la solitudine che cerca un abbraccio, anzi mi spingo un po’ oltre, è la solitudine che trova un abbraccio”. Con queste parole intense e poetiche, il Maestro Giovanni Allevi ha aperto il Med Fest a Cagliari, un evento dedicato all’unicità dei Paesi affacciati sul Mar Mediterraneo. In un dialogo intimo e profondo, guidato dalla giornalista Barbara Politi, Allevi si è raccontato davanti a un pubblico emozionato, condividendo riflessioni che vanno ben oltre la musica.

Allevi, riconosciuto non solo per il suo talento artistico ma anche per la sua sensibilità, ha sottolineato l’importanza del superamento delle divisioni e delle logiche di sopraffazione: “Non ne posso più delle logiche di sopraffazione, delle divisioni, la cultura è sempre un ponte, una tensione verso l’altro, magari partiamo da qui per creare un mondo più bello”. Questo messaggio di unità e di abbraccio dell’umanità, di cui la cultura è portatrice, risuona come un invito a costruire un mondo più armonioso, partendo dalla comprensione e dal rispetto reciproco.

Il Maestro ha toccato temi ancora più personali e universali: “La divisione nei confronti dell’altro nasce sempre dalla paura – ha spiegato – quando abbiamo paura ci chiudiamo a riccio ed ecco nascere la divisione”. L’esperienza della malattia, vissuta in prima persona, lo ha portato a riflettere sulla solidarietà e sull’accettazione della diversità: “Quando arriva una esperienza come quella della malattia vieni catapultato in una dimensione ancora più profonda dove non c’è più la divisione ma c’è proprio la solidarietà verso l’altro, il massimo rispetto della differenza, la scoperta della dignità dell’altro”.

Tornare sul palco al Med Fest, dopo un lungo periodo segnato dalla malattia, ha avuto per Allevi un significato speciale. “L’emozione è sconvolgente; entrare di nuovo in contatto con l’umanità, con questo affetto incredibile che la gente continua a darmi, anche qui in Sardegna è bellissimo. È come se questa malattia non avesse mai interrotto il filo che mi lega al cuore della gente e adesso voglio viverlo tutto, voglio viverlo con il cuore”. Con queste parole piene di commozione, Allevi ha espresso il legame profondo che lo unisce al suo pubblico, un filo mai spezzato, nemmeno nei momenti più difficili.

La musica, per il Maestro, è stata una delle risposte al dolore, una via per trasformare l’esperienza della sofferenza in bellezza. Durante il festival ha eseguito alcuni dei suoi brani più celebri, tra cui *Tomorrow*, composto durante il ricovero in ospedale. “Quando fai esperienza concreta della possibilità della tua fine, le cose sono due: o ti fai prendere della disperazione, oppure decidi di farti attraversare dalla vita come se non ci fosse un domani”, ha raccontato con intensità. “Ed è una condizione bella, drammaticamente bella, che però adesso sento proprio nel cuore”.

La partecipazione al Med Fest non è stata casuale: Allevi ha infatti creduto profondamente nel progetto, vedendo nel Mediterraneo non solo una culla di tradizioni, ma un possibile fulcro per il futuro. “Noi tutti siamo abituati a pensare che le cose importanti avvengono nel nord dell’Europa, in questi paesi freddi dove vengono prese le decisioni – ha riflettuto Allevi – e invece il cuore della nostra tradizione, il cuore della nostra cultura è proprio attorno al Mediterraneo”.

E sogna un ritorno di centralità per questa regione: “Mi piacerebbe che tornasse il Mediterraneo ad essere veramente il centro delle decisioni, il centro della bellezza, il centro del vivere, del futuro”. Allevi ha concluso il suo intervento con una riflessione sulla cultura mediterranea e su ciò che rappresenta oggi per lui. “Credo che sia uno dei doni che la sofferenza e che la fragilità mi hanno fatto. E mi piacerebbe che ci fosse un’inversione di tendenza, perché se davvero vogliamo costruire un mondo più bello, dobbiamo prima di tutto riconoscere la dignità dell’altro, indipendentemente dalle differenze, indipendentemente dal suo stato sociale, indipendentemente da dove viene e dalla geografia, che l’umanità è una”.

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