Ennesimo fascicolo archiviato. La foto di Benito Mussolini su una parete non è reato. Sulle scrivanie dei giudici, in quest’ultimo periodo, continuano ad arrivare denunce da una parte di sinistra che persevera a evocare spettri del ventennio. E puntualmente, la giustizia rigetta. L’ultima pirandelliana vicenda, dato che s’è svolta in Sicilia, riguarda una foto del Duce in un bar e che aveva suscitato le proteste di una giovane cliente, Agnese Stracquadanio, che prima ne aveva chiesto la rimozione e poi si era rivolta ai carabinieri.
Con il sequestro dell’immagine era partita anche un’indagine che ora il tribunale del Riesame ha ridimensionato. Ora la sentenza: la foto di Mussolini su una parete non è reato. Quindi, l’immagine del Duce che esibisce la mascella volitiva potrà tornare al suo posto. “Non faccio politica – dice il titolare del bar, Giuseppe Spadaro-. E di Mussolini so solo quello che mio nonno mi raccontava quando ero bambino”. Per i giudici, l’esposizione della foto va considerata un atto di manifestazione del pensiero discutibile, ma tutelato da un principio costituzionale. Non basta per ipotizzare la ricostituzione del partito fascista. E non si può ravvisare nemmeno “l’astratta considerabilità del reato di apologia del fascismo”.
E non basta ancora a supportare questa tesi, la frase che accompagnava la foto: “Non ho paura del nemico che mi attacca ma del falso amico che mi abbraccia”. In sostanza, il titolare del bar ha deciso di mettere la foto sulla parete “perché mi era piaciuta”. “Mi sembra una frase come tante, ma riflette un mio punto di vista”. Punto. E’ uno dei tanti episodi per cui, in un primo momento, pezzi di sinistra, Anpi e associazioni affini scatenano un putiferio, ma poi, tornata l’alba, non ne rimane traccia. Come è accaduto in merito alla vicenda del saluto romano sul campo di calcio di Marzabotto (Bologna) e per la quale, sono state archiviate le accuse di apologia di fascismo nei confronti di Eugenio Maria Luppi, ex calciatore del Futa 65 Loiano-Monghidoro (poi passato al Borgo Panigale), il quale, nel corso di una partita di sul campo del Marzabotto, dopo un gol segnato nei minuti finali della gara, aveva esultato facendo il saluto romano all’indirizzo dei tifosi avversari e mostrando una maglietta con la bandiera della repubblica di Salò (senza essere peraltro sanzionato dall’arbitro che non aveva riportato la cosa nel referto di gara).
Per il giudice, infatti, si è trattato di “un gesto isolato, di un giovane che non pare nemmeno avere avuto piena contezza del grave significato della simbologia esposta e che, lungi dal voler diffondere o rafforzare l’ideologia del disciolto partito fascista a danno dei valori democratici e costituzionali”. Ricordiamo che il calciatore era stato squalificato per 8 mesi dalla Lega Nazionale Dilettanti, dopo essere stato sospeso a tempo indeterminato dalla sua ex squadra, che immediatamente aveva preso le distanze da un gesto considerato gravissimo. La stessa Associazione nazionale partigiani italiani aveva commentato in modo durissimo l’episodio che lo aveva visto coinvolto: “Il fascismo è un reato, non una semplice opinione, chiediamo alla società calcistica e all’atleta di venire al Sacrario dei Caduti e chiedere pubblicamente scusa. Non possiamo archiviare episodi di questo tipo come semplici ragazzate, perché crediamo che il calcio debba essere portatore di valori come il rispetto e l’amicizia”. E per concludere, fa anche sorridere la storiella di Chiaravalle (Ancona) dove una bacheca della Cgil è andata in frantumi. La sinistra ha subito esploso: “Raid fascista”. Ma la frittata è stata fatta da una pallonata.