Si sarebbe arruolata nelle file del Califfato in Siria, pronta a dare il suo contributo “fino alla conquista di Roma”: questa l’accusa che ha portato al rinvio a giudizio a Venezia di Meriem Rehaily, la giovane studentessa marocchina modello, appassionata di informatica e in Italia da dieci anni, che si sarebbe trasformata in pochi mesi in una terrorista pronta a immolarsi per la causa dell’Isis. Accogliendo le richieste della procura antiterrorismo, il Gip di Venezia ha disposto il giudizio per la giovane per il reato di “arruolamento con finalità di terrorismo internazionale” fissando l’udienza per il 16 maggio prossimo.
LATITANZA Meriem al momento è latitante, di lei si sarebbero perse le tracce da quel 14 luglio 2015 quando si allontanò di casa, da Arzegrande (Padova) per seguire il richiamo del jihad. Su di lei pende un mandato di arresto richiesto e ottenuto nel giugno scorso dalla stessa procura lagunare. “Il rinvio a giudizio – dice il procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito – è il risultato di una complessa e impegnativa attività d’indagine svolta dalla procura antiterrorismo di Venezia”. Un punto che segna un tassello importante nell’articolato fronte d’indagine che la struttura guidata da D’Ippolito sta portando avanti da tempo sulle possibili realtà del terrorismo che possono coinvolgere anche il Veneto.
LE INDAGINI Il ‘caso’ Meriem era emerso dalle indagini compiute dai carabinieri dei Ros di Padova che avevano scavato nella vita di una ragazza appena 19/enne che da appassionata di informatica proprio nella rete avrebbe trovato la sua nuova ‘strada’. Erano stati proprio i messaggi e i file audio scambiati con le amiche a tracciare un nuovo profilo di Meriem, pronta ad abbandonare i familiari e una vita spensierata per imbarcarsi in un aereo che da Bologna l’aveva portata a Istanbul, e da lì in Siria, per ingrossare le fila dei combattenti del Califfato. Una fuga progettata e attuata grazie agli amici conosciuti in internet. “Scusa cara mamma – scriveva ‘Rim l’italiana’ come era nota in rete – ci vediamo in Paradiso”. Meriem potrebbe fare o aver fatto parte della brigata Al Khansa, composta esclusivamente da donne, soprattutto di origini europee e russe, addestrate all’uso delle armi e degli esplosivi. Le sue ultime tracce la davano sotto i bombardamenti di Rakka.
LA RELIGIONE “Ho chiamato i miei genitori sotto le bombe” diceva, non nascondendo la commozione, in un file audio scambiato con una amica. Nei colloqui con i genitori avrebbe pianto ma sempre detto no agli inviti a tornare a casa. A spingere Meriem ad abbracciare la causa di al-Baghdadi, al punto da scrivere alle compagne “non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa”, la visione su internet del video di una donna musulmana che racconta di essere stata violentata da cinque uomini delle forze armate di Assad, davanti ai figli. L’episodio, come aveva riferito una delle sue insegnati, l’aveva portata negli ultimi giorni trascorsi sui banchi di scuola ad una riflessione. Per avere la meglio su quelli che definiva i “nemici sionisti”, la ragazzina non vedeva che una sola strada. “Dobbiamo rispettare la nostra religione anche a costo di morire – riportava con una calligrafia ordinata e precisa – anche allevando i nostri figli secondo i valori islamici, rendendoli pronti per il loro ruolo nella lotta”.