Via libera definitiva, in Senato, alla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, dopo il voto favorevole della Camera dello scorso 26 aprile. Ecco i punti salienti della riforma targata Cartabia.
SISTEMA ELETTORALE CSM – Il rinnovo del prossimo Consiglio superiore della magistratura avverrà con un sistema misto, binominale con quota proporzionale. Collegi binominali, che eleggono due componenti del Csm l’uno, ma si prevede per i giudicanti una distribuzione proporzionale di 5 seggi a livello nazionale (incrementata la quota proporzionale rispetto alle proposte iniziali sul recupero dei cd “migliori terzi”) e per i requirenti il recupero di 1 miglior terzo.
PLENUM CSM – Composto da 30 membri. Tre di diritto: presidente della Repubblica; primo presidente di Cassazione; procuratore generale della Cassazione; 20 sono i consiglieri togati (2 legittimità; 5 pm; 13 giudicanti) e 10 i laici.
CANDIDATURE CSM – Non sono previste le liste. Il sistema si basa su candidature individuali. Ciascun candidato presenta liberamente la sua candidatura individuale – anche nel suo distretto – (senza necessità di presentatori) a livello di collegio binominale. E devono esserci un minimo di 6 candidati in ogni collegio binominale, di cui almeno la metà del genere meno rappresentato. Se non arrivano candidature spontanee o non si garantisce la parità di genere si integra con sorteggio per arrivare al minimo dei candidati previsti. Un sorteggio previsto anche per riequilibrare le candidature del genere meno rappresentato.
Il sistema elettorale misto – con aspetti proporzionali e maggioritari – lascia la possibilità alle singole candidature individuali di emergere senza necessità di collegarsi a liste.
STOP NOMINE A ‘PACCHETTO’ – L’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi si decide in base all’ordine cronologico delle scoperture, per evitare le cosiddette nomine a pacchetto (al centro in passato di scandali). L’obiettivo è di favorire la formazione e si punta a valorizzare nella scelta del candidato il possesso di caratteristiche rilevanti rispetto allo specifico posto messo a concorso; si punta a redendere così più trasparenti le procedure di selezione.
STOP ALLE “PORTE GIREVOLI” – La riforma prevede il divieto di esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali e ricoprire incarichi elettivi e governativi, come è stato invece finora possibile. Questo divieto vale sia per cariche elettive nazionali e locali; sia per gli incarichi di governo nazionali/regionali e locali. E’ previsto l’obbligo di collocarsi in aspettativa (senza assegni in caso di incarichi locali) per l’assunzione dell’incarico (oggi – almeno in alcuni casi – c’è cumulo di indennità con stipendio del magistrato). Sono introdotti inoltre divieti che impediscano il ripetersi di casi di magistrati che svolgano in contemporanea funzioni giurisdizionali e incarichi politici, anche se in altro territorio. I magistrati che hanno ricoperto cariche elettive di qualunque tipo, al termine del mandato non possono più tornare a svolgere alcuna funzione giurisdizionale. Chi si è candidato e non è stato eletto per 3 anni non può tornare a lavorare nella regione che ricomprende la circoscrizione in cui si è candidato né quella in cui lavorava; non può inoltre assumere incarichi direttivi e svolgere funzioni penali più delicate (pm, gip/gup).