Per i media israeliani la situazione, drammatica, è fin troppo chiara: il successo di Hamas negli attacchi dell’8 ottobre 2023 è stato “troppo grande”. La portata eccezionale del disastro e il clamoroso fallimeno dell’intelligence stanno spingendo Israele a una risposta altamente aggressiva. Per gli israeliani l’8 ottobre è il loro “11 settembre”. Il problema è: cosa succederà ora? Si parla da giorni di una possibile offensiva via terra nella Striscia di Gaza, al di là della risposta aerea con bombardamenti a tappeto da parte dell’Idf, le Forze di Difesa israeliane. Intanto Hamas, dopo i massacri nei kibbutz, continua a bersagliare con i missili le città israeliane di Sderot e Ashkelon al confine con la Striscia di Gaza.
Israele continua ad ammassare truppe nel sud del Paese; al momento oltre 200mila soldati, tra cui anche molti riservisti, sono posizionati al confine con la Striscia, in attesa di un ipotetico ordine d’attacco. C’è, però, un risvolto politico. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu in questo momento appare politicamente debole di fronte alla portata del nuovo conflitto, tanto da ricercare un governo di unità nazionale per gestire questa difficile fase d’instabilità. Se mai l’offensiva di terra dovesse effettivamente partire, quale sarà il suo scopo?
Annientare Hamas rovesciandone il regime per occupare la Striscia di Gaza? Con quali risvolti sul piano internazionale e con quali conseguenze pratiche, visto che nella Striscia vivono ammassati due milioni di palestinesi? Intanto l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Turk, ha fatto sapere che un assedio totale che colpisca soprattutto i cittadini civili privandoli di viveri, acqua, elettricità e beni di prima necessità, è assolutamente vietato dal diritto internazionale. Anche Papa Francesco ha espresso preoccupazioni per i civili palestinesi. Per ora a parlare è il bilancio provvisorio dei morti, dall’una e dall’altra parte: almeno 1.600 in totale, 900 israeliani, per lo più giovani, e 700 palestinesi. Tra loro molti sono bambini.