Gli irriducibili Stein e Johnson, gli altri due candidati che lottano nelle retrovie

PRESIDENZIALI USA 2016 La battaglia per la Casa Bianca, almeno in teoria, non si combatte solo tra Clinton e Trump

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Le mille luci di questa campagna elettorale americana si stanno concentrando tutte sui candidati principali, Hillary Clinton e Donald Trump. Ma la battaglia, almeno in teoria, non si combatte solo tra loro due. A lottare nelle retrovie sono gli irriducibili Jill Stein e Gary Johnson, lei per i Verdi, lui per il partito Libertario. Ma chi sono? Da dove vengono, che storia hanno?

LA VERDE JILL STEIN Per andare a conoscere meglio Stein bisogna aver voglia di guidare fino a una cittadina di nome Lexington, in Massachusetts. Lei, che è medico e naturalmente agguerrita ambientalista, fu già candidata per il partito dei Verdi alle elezioni del 2012, e due volte candidata come governatore dello stato del Massachusetts (nel 2002 e nel 2010), senza mai vincere. La città è importante perché è a quella che deve – per ora – la sua unica conquista politica: è stata eletta due volte, nel 2005 e nel 2008, nell’assemblea cittadina (in realtà più di una semplice assemblea degli abitanti: il Town Meeting negli stati del New England rappresenta una storica forma di governo democratico, risalente al diciassettesimo secolo). Stein è nata a Chicago e si è trasferita a Lexington nel 1995, dopo alcune tappe: una a Highland Park, il ricco paesone a 40 chilometri da Chicago dov’è cresciuta, e una a Cambridge, in Massachusetts, dove si è laureata in medicina ad Harvard e dove lei e il marito (Richard Rohrer) hanno messo su casa e avuto due figli, Ben e Noah. Una famiglia di medici: lei internista per venticinque anni, lui chirurgo specializzato in trapianti, e i due figli, ormai adulti, dottori a loro volta. Dalla carriera medica al percorso ambientalista tutto sembrerebbe scorrere senza imprevisti, ma invece no, perché Jill Stein presenta almeno un tratto a sorpresa. Non è la bellezza, benché la bellezza ci sia.

È la musica. Perché Stein non è solo medico, ambientalista, candidata alla presidenza degli Stati Uniti d’America. È anche musicista. E peraltro non suona una cosa qualunque: no, lei suona i conga e i djembe che sono tamburi, rispettivamente afro-cubani e africani. Suona poi anche la chitarra e il piano, e ha una band: i Somebody’s Sister, con quattro album all’attivo. Ci fu in effetti un momento in cui sul ruolo da dare alla musica nella sua vita si interrogò molto: nel 1991 le scoprirono una dissezione dell’arteria carotidea e, come ha dichiarato al Boston Globe, “da lì in poi meditai a lungo su quello che volevo fare della mia vita dopo aver guardato in faccia la mia mortalità”. Per un po’ pensò di lasciare la medicina e diventare una musicista a tempo pieno. Poi non è successo, ma anzi, è accaduta una cosa ancora diversa: è entrata in politica in modo attivo. Quello che la sua carriera politica e musicale hanno in comune è l’impegno per l’ambiente. Fulcro di una come dell’altra. Perché – e qui arriviamo alla sua candidatura – il principale caposaldo della sua campagna elettorale ha a che fare, naturalmente, con le politiche ambientali: Stein vorrebbe portare gli Usa a un approvvigionamento green al 100% entro il 2030.

In generale, il suo programma ha molti punti in comune con quello di Bernie Sanders, con alcune vette più estreme. Per esempio la riduzione del debito studentesco, il fardello che la maggior parte dei giovani americani si carica sulle spalle per potersi sobbarcare le spese del college, e che poi continua a pagare a rate per decenni. La vicinanza morale a Sanders è tale che Stein in passato ha dichiarato che in caso di vittoria sarebbe contenta di averlo al suo fianco come vicepresidente. Ed è una vicinanza che sentono anche i più ferventi sostenitori di Sanders, che, quando lui si è ritirato dalla corsa e ha dato il suo sofferto endorsement a Clinton, non solo l’hanno aspramente criticato (c’è ancora tutta una frangia di elettori Democratici che si picca di essere #NeverHillary), ma hanno anche iniziato a sostenere Stein con donazioni in denaro, avvertendola come il sostituto naturale del senatore del Vermont. Stein dice di non essersi candidata per il suo ego, bensì per fare qualcosa di buono per il Paese. Racconta però anche che la madre, quand’era ancora viva le diceva: ma perché corri in un partito minore, perché non corri nei democratici?

IL LIBERTARIO GARY JOHNSON E chissà che la stessa domanda, ma con la parola “repubblicani” al posto di “democratici”, non l’abbia fatta a suo tempo la madre di Gary Johnson. Per esempio quando l’ex governatore repubblicano del New Mexico (dal 1995 al 2003) lasciò il Grand old party per entrare nel partito Libertario, e con quello candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti nel 2012. O magari questa seconda volta, visto che lui, stoico, ci sta riprovando, e in queste elezioni corre come potenziale “jolly”. Jolly perché, come spiega il suo sito web, gli sarebbe sufficiente conquistare anche un solo stato per sparigliare le carte nella corsa elettorale. Se per conoscere meglio Stein era necessario andare a nord est, per capire chi è Johnson bisogna fare rotta verso sud e il gran sole del New Mexico, dove gli sono successe tutte le cose importanti. Non ci è nato (proprio come Stein, che non è nata in Massachusetts), ma qui è cresciuto, ha studiato (è laureato in scienze politiche), ha conosciuto quella che poi sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi due figli Erik e Seah, è diventato imprenditore (ha fondato nel 1986 un’azienda di costruzioni, la Big J Enterprises, poi diventata multimilionaria e venduta nel 1999, cinque anni dopo il suo ingresso in politica), e infine due volte governatore.

Dalla moglie Dee Simms ha divorziato nel 2005 per via, pare, di una o numerose scappatelle. “Ho il cuore spezzato per quello che mi ha fatto Gary, ma sono una dura, e ce la farò a superare anche questa”, dichiarò lei all’epoca all’Albuquerque Journal (purtroppo andò diversamente: morì all’improvviso nel dicembre dell’anno successivo, per colpa di un’ipertensione arteriosa). Dal 2008 è fidanzato con Kate Prusack, un`agente immobiliare di Santa Fe. Lei ha raccontato che agli inizi della loro frequentazione lui le regalò “La rivolta di Atlante” della filosofa e scrittrice conservatrice di origine russa Ayn Rand, un romanzone ambientato in un futuro distopico. E che nel donarglielo le disse “Se vuoi capirmi a fondo, leggi questo”. Che cosa volesse dire esattamente non possiamo saperlo, a meno di non leggere le 1088 pagine del libro. Ma quello che sappiamo di Johnson anche senza leggerlo non è comunque poco, almeno per quanto riguarda le sue idee (e lacune) politiche.

E` ben nota, per esempio, la sua posizione sulla legalizzazione della marijuana: non solo è a favore e ne fa uso lui stesso (come racconta il New Yorker), ma nel 2014 è stato nominato amministratore delegato di Cannabis Sativa, un’azienda con sede in Nevada che produce cannabis a scopi medici. È poi contrario alle politiche di gun control: si è dichiarato un sostenitore del secondo emendamento, che garantisce il diritto al porto d’armi per ogni cittadino. Ha però un tallone d`Achille piuttosto grande per un aspirante presidente: la politica estera. A settembre, durante un’intervista su Msnbc, domandò “Cos’è Aleppo?”. E poco tempo dopo, sempre sul Msnbc, non sapendo rispondere al conduttore che gli chiedeva il nome di un leader estero che ammira, proclamò: “Penso mi stia capitando un altro momento alla Aleppo”. Forse in quel momento, anziché essersi dichiarato il jolly della campagna elettorale, avrebbe preferito poterne giocare uno e cambiare domanda.