Gli italiani ”dimenticati” di Crimea: ridateci la cittadinanza

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https://youtu.be/mUwBJn8GTnU

“Ricordo mia nonna che faceva molto veloce le orecchiette con una salsa molto particolare che lei chiama la sas . Era una salsa dolce, di pomodoro passato. I pomodori si sbucciavano, si mettevano con olio, un po’ di sale, un po’ di pepe nero. E veniva un prodotto molto buono, un piatto buonissimo, che io amavo tanto mangiare. E ricordo come faceva queste orecchiette, molto veloci: come una macchina”. La particolarità delle orecchiette di cui parla Natalia Di Lerno è che non venivano fatte a Trani o Molfetta, ma in Crimea. A Kerch, sullo stretto che divide questa penisola, oggi annessa da Mosca, dalla Russia vive un’antica comunità italiana, fatta per lo più di pugliesi, che ha conosciuto i dolori della deportazione staliniana e oggi chiede a Roma di poter riacquistare la cittadinanza. Dice ad askanews Giulia Giacchetti Boico, che dirige Cerkio, l’associazione degli italiani di Crimea: “Siamo molto lieti che, a quanto ho capito, l’Italia cerca di aiutare quelle persone proprio là da dove sono fuggite, perché davvero bisogna difendere queste persone e non far loro neanche attraversare il mare rischiando la vita, la vita dei bambini. Ma aiutarli là da dove sono fuggiti. L’unica cosa, che non è un rimprovero, ma solo meraviglia, che posso esprimere: perché l’Italia che è così generosa con la gente venuta dalla Siria, dalla Libia, dall’Africa, perché non può aprire la porta ai propri connazionali di origine italiana che grazie a Dio non siamo in guerra, ma anche noi vogliamo avere un rapporto più stretto con la nostra terra d’origine, poter venire senza chiedere ogni volta il visto, anche se l’ambasciata fa sempre il possibile per aiutarci. Agli italiani di Crimea mancano i parametri legali per riprendere la cittadinanza italiana, avrebbero bisogno di uno status speciale di minoranza perseguitata e deportata, finora negato. Eppure, prima con le purghe staliniane degli anni ’30 e poi con le deportazioni durante la guerra, soffrirono l’inverosimile: uomini, vecchi, donne e bambini furono portati via in Kazakistan. Dice Igor Ferri: “Da qui si può vedere come nell’inverno del 1942, da quella parte del porto, sono stati portati via per il Kazakistan”. “Prima della deportazione qua a Kerch c’era una comunità di circa 5 mila persone. Una comunità italiana grande. Dopo la deportazione, non sappiamo. Alcuni sono morti durante il viaggio, perché c’era inverno, -40 gradi, il viaggio è durato circa 40 giorni. Tanti sono morti per fame, freddo, problemi di salute, eccetera.” Oggi ci sono citrca 500 italiani di Crimea, dopo le deportazioni famglie sono rimaste anche in Kazakistan, Uzbekistan e altrove. A Kerch hanno una loro chiesa e cercano con Cerkio ariportare in vita la loro loro italianità. Manca però quell’aiuto dell’Italia soprattutto per i più anziani,che vorrebbero rivedere almeno una volta la madrepatria. Giulia Giacchetti Boico: “I nostri anziani si lamentano sempre che non riescono a vedere la terra d’origine prima di morire. Per i giovani è più semplice, a volte hanno occasione di andare per le borse di studio, partecipare a convegni. Ma per gli anziani, anche se a volte ricevono inviti, andare all’ambasciata, chiedere il visto ogni volta per partire, è molto difficile, anche dal punto di vista economico. Purtroppo la nostra gente vive a stento, la maggior parte non può permettersi di comprare un biglietto o una gita per andare a vedere l’Italia”.