Sono tante le mine anti-giallorosso pronte ad esplodere per spazzar via, ancor prima del nascere, un governo Pd-M5s. Ordigni piazzati per la maggior parte dallo stesso segretario dem. Perché il vero primo problema di Nicola Zingaretti non è tanto quello di dare un governo agli italiani per alleggerire la loro vita tartassata e assetata di sviluppo. Il vitale obiettivo politico del capo del Nazareno è quello di non finire nel tritacarne renziano messo in moto dallo stesso Matteo Renzi quando alcune settimane fa, ancor prima che cadesse il governo gialloverde, ha aperto la porta ai pentastellati per un nuovo esecutivo giallorosso, lasciando la granata nelle mani di Zingaretti. E così, mentre in questo fine settimana, l’ex premier darà lezione di politica ad under 30 sulle colline del Lucchese, il segretario dem dovrà fare di tutto per non firmare alcun contratto con i pentastellati.
La puzza di bruciato, però, l’ha subito annusata, il governatore del Lazio. E così ha cominciato a piazzare paletti strategici che sanno assolutamente di voler tornare alle urne per ripartire con un partito più forte – dato anche i flebili segnali di crescita che danno i sondaggi – e con “suoi” parlamentari. E per far ciò, chiede “governo di legislatura” e “discontinuità”. Immaginate l’Italia con quasi quattro anni di governo Pd-M5s, due forze che se le sono date di santa ragione fino a oggi e che nulla hanno in comune. Non a caso quattordici mesi fa non sono stati in grado di far nascere un esecutivo giallorosso. E allora sì, che c’erano le condizioni politiche, ma non certo per Renzi. Per agitare le acque, dal Nazareno è partita anche la voce di un Enrico Letta possibile premier di un esecutivo giallorosso. Più che fantapolitica. E non solo perché è subito arrivato il “no grazie” dell’ex premier, ma perché parliamo di un’ipotesi pirandelliana se si pensa come è andata a finire tra Renzi e lo stesso Letta.
Trapela anche una telefonata tra Zingaretti e Davide Casaleggio, il massimo dell’investitura. Un colloquio che avrebbe fatto saltare subito il segretario dem, giocando le carte della “discontinuità” e della “svolta”. “Nel nuovo esecutivo non devono esserci ministri dei passati governi, sia Pd che 5 Stelle” ricorda Zingaretti come da mandato del documento approvato in Direzione. Quindi andare oltre Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, no al premier e al suo vicepremier che sono stati, con Matteo Salvini, il volto dell’esecutivo dimissionario nonché gli autori di attacchi violentissimi contro il partito e suoi rappresentanti (il Pd ha appena querelato Di Maio per la mistificazione fatta tra il Pd e i fatti di Bibbiano).
Zingaretti vuole anche superare la forma del contratto di diritto privato che è stato la base del governo gialloverde. Richieste legittime che il Movimento ritiene però irricevibili. Eccessive. Da qui si aggiunge un’altra mina anti-giallorosso che vede Conte in viaggio per Bruxelles alla conquista di una poltrona da commissario. Di certo, se ne parla, almeno per alimentare il caos. A dar manforte a questo scenario, ci sono le ultime tre mosse, in ordine di tempo, di Zingaretti a cui il M5s dovrà contribuire ad attuarle, se vorrà il sostegno del Pd. La prima, riguarda il no al taglio dei parlamentari, che si è arenato in Parlamento a causa della crisi; l’abolizione dei due decreti sicurezza approvati dal governo gialloverde; la terza è un accordo preventivo sui contenuti della legge di bilancio. Staremo a vedere.