“Piersanti Mattarella, l’uomo che voleva cambiare la Sicilia, dava fastidio al sistema di potere politico mafioso che governava l’isola da Lima ai cugini Salvo, a Ciancimino. Io non credo alla pista dei killer neri, non vedo elementi concreti. Non ci credeva neanche Falcone fino in fondo. E oggi abbiamo ulteriori elementi su cui riflettere”. Lo dice, in un’intervista a Repubblica, Pietro Grasso che quel 6 gennaio 1980 avvio’ le prime indagini. “Nel processo per mafia a Giulio Andreotti, che ha ormai il crisma della Cassazione – afferma – il pentito Francesco Marino Mannoia ha riferito degli incontri fatti dal suo capomafia, Stefano Bontate, che probabilmente era anche un massone a capo di una loggia segreta. Aveva saputo di un viaggio a Roma del presidente Mattarella, per andare a lamentarsi con qualcuno”.
E “nell’estate 79 convoco’ una riunione”: “c’era anche Giulio Andreotti, a cui fu chiesto di intervenire per fermare Mattarella. Due mesi dopo l’assassinio, Mannoia fu testimone di un nuovo incontro fra Andreotti, Bontate e altri mafiosi. Quella volta, il presidente del Consiglio era sceso in Sicilia per chiedere chiarimenti sulla morte di Mattarella. E la risposta del boss fu severa: ‘In Sicilia comandiamo noi, se non volete cancellare la Dc dal Sud sappiatevi regolare'”. Grasso evidenzia le preoccupazioni di Mattarella espresse ai suoi collaboratori: “In questa storia le omissioni e i depistaggi sono la chiave” e “credo che la verita’ stia dentro quel blocco di potere politico economico mafioso che nasconde ancora tanti segreti: i soldi della vecchia mafia continuano a spostare molti affari”.