Con le sue immagini ha raccontato la caduta del Muro di Berlino e la guerra in Cecenia, il tentato golpe in Russia del 1993 e le conseguenze dell’uragano Katrina. Stanley Greene è una leggenda del fotogiornalismo: fondatore dell’agenzia Noor, che in arabo significa luce, a Milano ha presentato nella Leica Gallery di via Mengoni una mostra sulla scena punk di San Francisco negli anni 70 e 80. Immagini che già contenevano il germe di una ricerca, professionale e di vita, che è poi esplosa negli anni successivi. “La mia filosofia di base – ci ha detto – che è la stessa della mia agenzia, è quella di fotografare le cose più oscure e più nascoste. Andiamo nei luoghi più bui del mondo e cerchiamo di accendere una luce con le nostre macchine fotografiche”.È così l’obbiettivo di Greene, che da giovane ha militato con le Black Panthers, si è aperto nei luoghi più pericolosi del mondo, andando in cerca di storie che, nella loro drammaticità, avessero la forza di cambiare le cose, o anche solo di mostrare quella che, per il fotografo, è la realtà. “Per me la realtà – ha aggiunto Greene – è guardare negli occhi di un bambino: dentro ci puoi vedere l’innocenza, le speranze, le aspirazioni, i sogni… Tutto. Il resto, in confronto, perde importanza e ci possiamo aggrappare a questi occhi per essere migliori. Il problema è che nel mondo c’è il male, e questo tende a diventare sempre più importante rispetto alla stessa bellezza della vita”. Una bellezza che, in modi forse difficili da accettare se ci si appoggia solo al senso comune, emerge con forza anche dalle fotografie dei gruppi punk. Come fanno i grandi registi, Greene sa prendersi cura delle proprie immagini e in qualche modo sa anche di essere un “autore”. Ma la sua ricerca, ci assicura, è in primo luogo etica. E il fotogiornalismo è una professione nella quale si rischia in prima persona, con o senza un’investitura autoriale.