Cronaca

Hong Kong, lo scontro digitale: social contro legge sulla sicurezza

Lo scontro in corso a Hong Kong dopo che Pechino ha imposto la sua nuova legge sulla sicurezza ha un coté digitale che vede protagonisti i principali social network. E, giocoforza, dal momento che molti di esso sono “Made in USA”, questo scontro s’innesca sul più ampio conflitto tra Stati uniti e Cina. In questi giorni i giganti del settore dei social si sono dovuti schierare: Facebook, Twitter, Google. Ma al centro del ciclone è finito principalmente l’ultimo arrivato, TikTok, il sito di video in forma breve lanciato dalla cinese ByteDance, che è presto diventato un fenomeno globale soprattutto tra i giovanissimi.

Il segretario di Stato Mike Pompeo qualche giorno fa ha chiarito che l’amministrazione Trump sta valutando l’ipotesi di vietare le app cinesi di social media dagli Usa, a partire proprio da TikTok. Un annuncio che ha provocato una rapida reazione da parte della compagnia, la quale ha ricordato che “TikTok è guidata da un amministratore delegato americano, con centinaia di dipendenti e dirigenti leader che si occupano di sicurezza, del prodotto e della politica pubblica che sono qui negli Usa”. Ha poi specificato che la compagnia “non ha mai fornito dti degli utenti al governo cinese, né lo farebbe se le venisse richiesto”.

Questo tuttavia non è stato sufficiente e oggi TikTok ha dovuto annunciare che “alla luce dei recenti avvenimenti”, si è deciso di “fermare le operazioni dell’app TikTok a Hong Kong”. L’uscita, secondo l’agenzia di stampa Reuters, avverrà “nello spazio di giorni”. Va tuttavia ricordato che la stessa ByteDance gestisce nella Cina continentale un altra app simile di short-video che si chiama Douyin. La vicenda della video-app viene dopo che anche altri giganti del settore hanno dovuto prendere posizioni ben precise in relazione alla questione della legge della sicurezza, che secondo i critici comprime fortemente gli spazi di libertà di espressione e viola gli accordi di restituzione dell’ex colonia britannica alla Cina, i quali prevedono autonomia e diritti civili per Hong Kong.

Facebook (e la sua messaggeria Whatsapp), Twitter, Google (con la sua YouTube) e Telegram hanno annunciato ieri che non intendono rispondere a richieste di trasmissione di dati degli utenti eventualmente in arrivo dalle autorità hongkonghesi, alla luce della legge sulla sicurezza. “Noi crediamo che la libertà d’espressione sia un diritto umano fondamentale e sosteniamo il diritto delle persone di esprimersi senza paura per la loro sicurezza o di riceverne ripercussioni”, ha detto in un comunicato un portavoce di Facebook.

Telegram ha chiarito altrettanto che non intende fornire dati. “Telegram non ha mai condiviso alcun dato con le autorità di Hong Kong in passato e non intende elaborare alcuna richiesta di dati relativa ai suoi utenti di Hong Kong finché non verrà raggiunto un consenso internazionale in relazione ai cambiamenti politici in corso nella città”, ha detto il suo portavoce Mike Ravdonikas. “Mercoledì scorso, quando è entrata in vigore la legge, abbiamo sospeso l’elaborazione di eventuali nuove richieste di dati”, ha dichiarato anche un portavoce di Google, che include anche la piattaforma video di YouTube. Sulla stessa linea Twitter.

“Come molte organizzazioni, leader della società civile e colleghi del settore, siamo seriamente preoccupati per gli sviluppi in corso e il potenziale di questa legge”, ha dichiarato un suo portavoce. Dopo l’entrata in vigore della legge sulla sicurezza – secondo quanto scrive il giornale hongkonghese South China Morning Post – c’è stata una corsa degli attivisti a cancellare le loro chat su WhatsApp, Telegram o Signal. E a scaricare gli strumenti per creare VPN (Virtual Private Network), uno strumento utilizzato per garantire una migliore sicurezza nella navigazione internet. askanews

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