Politica

I pilastri del programma di Draghi. Ma anche i nodi dei dossier ereditati

Un programma che si va a definire partendo da alcuni punti fermi irrinunciabili e ben conosciuti. Come l’europeismo, in generale, e il sostegno all’integrazione nell’euro che, da capo della Bce, ripeteva essere “irreversibile”. La vocazione internazionale dell’Italia e l’appoggio al mutilateralismo, tanto più rilevante ora che la Penisola avrà la presidenza del G20. La necessità di dare prospettive ai giovani e allo sviluppo. Ma poi, più nel dettaglio, il “programma” potrebbe essere in parte risultato di uno studio attento e metodico su rilevanza e realizzabilità di singoli aspetti. Anche in base alle consultazioni di questi giorni. Perché più che l’appoggio politico verso di sé, quello che Draghi potrebbe essere interessato a sondare è il livello di sostegno politico che in prospettiva, più avanti, potrebbe riuscire a raccogliere su alcune scelte magari non facili. Dall`Alitalia all`ex Ilva, ad esempio, ad Autostrade, ma anche sui vincoli che comporta il processo di integrazione Ue. Potrebbe cercare di farsi già una idea sul fin dove si potrà spingere. Del resto, nel discorso di questa estate al meeting di Rimini, Draghi fece riferimento alla “preghiera per la serenità” di Karl Paul Reinhold Niebuhr: “Dammi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire la differenza”.

L’europeismo dell’ex governatore di Bankitalia, oggi così celebrato in maniera quasi unanime dai partiti, potrebbe condurre anche verso politiche su cui non si possono escludere attriti con i partiti stessi. Si prenda ad esempio il caso Alitalia, il primo solo in ordine alfabetico. La vicepresidente della Commissione europea, Margrethe Vestager, responsabile della concorrenza, ha avvertito che l’idea di creare una nuova compagnia per poter evitare che questa debba farsi carico di restituire i debiti della vecchia Alitalia potrebbe funzionare solo se il processo fosse “veritiero”. Si tratta di un dossier i cui esisti sono tutt’altro che definiti e che il nuovo eventuale governo Draghi erediterebbe nella sua configurazione dall’esecutivo precedente. Così come il caso Autostrade o quello dell’Ex Ilva di Taranto. Non è da dare per scontato che il nuovo esecutivo confermi in tutti i suoi aspetti l’impostazione data dal governo precedente. Si tratta di vicende in cui molti hanno visto ri-statalizzazioni. E se è vero che a inizio crisi, nel marzo del 2020, Draghi in un celebre articolo sul Financial Times, paragonando la pandemia a una guerra avvertiva dell’inevitabilità di un aumento dei debiti pubblici, per evitare la distruzione di capacità produttive e occupazione dei Paesi, più di recente, in un documento del G30 lo scorso dicembre, metteva in guardia dagli “eccessi” di decisionismo diretto dello Stato. Perché rischia di ingenerare un utilizzo non ottimale delle competenze del settore privato.

Draghi, che è stato tra i protagonisti delle privatizzazioni in Italia, ora dovrebbe suggellare una marcia indietro? Forse era anche a questo che si riferiva il Financial Times, in un editoriale in cui affermava che l’ex presidente Bce “deve sistemare il caos lasciato da partiti litigiosi”. E lo si è già visto su altri aspetti, che non per forza il Draghi pensiero è sulla stesa lunghezza d’onda di quello dominante nella politica. Ad esempio sulla giustizia, la cui riforma è stata indicata come una delle priorità da affrontare, secondo quanto riferito da alcuni dei parlamentari protagonisti delle consultazioni. Tuttavia, quando si parla di “giustizia” quello a cui pensa subito la politica è solitamente l’ambito penale. Dal punto di vista di Draghi, invece, “l`elefante nella stanza” è la giustizia civile e i suoi tempi: totalmente incompatibili con la necessità di attrarre investimenti, liberare risorse e aumentare la crescita potenziale dell’economia. Domani sarà la volta delle parti sociali. I sindacati da giorni avvertono che al nuovo governo chiederanno una proroga del blocco dei licenziamenti e della cassa Covid. Ma ci sono anche altri temi delicati la cui prosecuzione inalterata potrebbe non essere del tutto scontata.

Draghi è stato il primo promotore della creazione dell’Unione bancaria europea. Che ora potrebbe segnare nuovi passi in avanti data la necessità di evitare che la crisi pandemica inneschi, come quella precedente, nuove impennate dei crediti deteriorati delle banche, tali da inficiare la capacità delle banche stesse di sostenere l’economia nella ripresa. Questo però richiederà nuovi approcci europei. Richiederà convergenza. E l’esigenza di garantire condizioni di gioco paritetiche a tutti, potrebbe far apparire poco compatibili i tempi di recupero dei crediti dei Paesi nordici con le procedure fallimentari italiane, o provvedimenti come il blocco degli sfratti. Mentre sempre il paper del G30 rilevava il rischio che le misure messe in campo sulle liquidità potrebbero finire per far accumulare un eccesso di indebitamento nelle imprese. Il documento inoltre avvertiva della necessità di “concentrarsi sull`uso più produttivo delle risorse”. Un altro aspetto problematico in questa ottica potrebbe essere rappresentato dalla continua crescita del risparmio. Proprio oggi uno studio della Bce (Household Sector Report) ha evidenziato una continua crescita del tasso di risparmio delle famiglie, al 17,6% nell’area euro nel terzo trimestre, dal 16,5% dei tre mesi precedenti e a fronte di valori che prima della crisi erano inferiori al 13%.

In Italia, secondo le tabelle della Bce, il tasso di risparmio è salito al 15,5% nel terzo trimestre dal 13,8% dei tre mesi precedenti. Prima della crisi risultava quasi sempre poco mosso appena sopra il 10%. Secondo alcuni economisti questo potrebbe anche riflettere una allocazione non ottimale di alcune risorse, che infatti finiscono per immobilizzarsi in risparmio che specialmente in Italia fatica a confluire verso gli investimenti. Non che Draghi adesso si presenterà con una scure in mano per stabilire un termine perentorio su blocco dei licenziamenti, moratorie sui pagamenti, sfratti ed eccetera. Perfino nell`intransigente Germania considerano come un problema straordinario il retaggio dei danni della crisi pandemica, che quindi può essere opportunamente gestito con lunghe politiche di rientro. Ma nemmeno è da attendersi si continui a rinviare semplicemente i problemi senza affrontarli, con la dovuta gradualità. Draghi potrebbe cercare compromessi. Praticamente un anno prima che la pandemia esplodesse su scala globale, in un discorso all’università di Bologna nel febbraio del 2019 parlava della precedente “lunga crisi economica mondiale”, che assieme a “movimenti migratori senza precedenti, disuguaglianze accentuate dalle grandi accumulazioni di ricchezze prodotte dal progresso tecnologico hanno fatto emergere faglie in un ordine politico ed economico che si credeva definitivo”.

“In questo mondo la libertà e la pace divengono accessori dispensabili all`occorrenza. Ma se si vuole che questi valori restino essenziali, fondanti, la strada è un`altra: adattare le istituzioni esistenti al cambiamento”, diceva Draghi. Concluse il suo intervento citando un famoso discorso del Papa emerito, Benedetto XVI di quasi 40 anni fa: “Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l`impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole. Non è morale il moralismo dell`avventura. Non l`assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell`attività politica”.

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