Il precursore è stato Telegram, tra i primi servizi di messaggistica ad offrire comunicazioni crittografate end-to-end. Dopo lo ha seguito WhatsApp, di proprietà di Facebook, che con il suo miliardo di utenti rappresenta al momento una delle fette più grosse del mercato. Questa settimana si è aggiunto Viber, anch’esso orientato ad offrire maggiore privacy ai suoi utenti. Tuttavia – rileva Luigi Martino, teaching and research assistant in Ict policies e cyber security all’Università di Firenze, in un’intervista con Cyber Affairs -, ci sono due aspetti importanti da non trascurare quando si parla di crittografia e messaggistica. Il primo tocca il marketing. “L’allineamento di Viber ai suoi competitor – spiega l’esperto – dimostra un trend: la privacy, vera o presunta, offerta da queste applicazioni, rappresenta al momento uno dei modi con i quali queste società riescono ad acquisire maggiori clienti. Gli utenti sono infatti sempre più attratti da quei servizi di messaggistica che propongono soluzioni orientate alla tutela dei dati personali e delle comunicazioni che si scambiano ormai quotidianamente con amici, familiari, colleghi di lavoro. Ecco perché la crittografia sta spopolando”.
Il secondo, sostiene Martino, è invece di natura tecnica: “Alla base di ogni sistema crittografico c’è un server che cifra e decifra le comunicazioni scambiate tra gli utenti. Ne consegue che tutti i dati scambiati, siano essi messaggi testuali o vocali, foto o allegati, vengono elaborati da questo server. La domanda di fondo, dunque, dovrebbe essere: chi garantisce la riservatezza dei dati immagazzinati in quel server? Ecco perché, a mio parere – aggiunge l’esperto – questo tipo di servizi di comunicazione può forse rappresentare un avanzamento della privacy di un utente generico, ma non può costituire il mezzo con cui scambiare informazioni sensibili in campi come quello del business o delle Istituzioni”. (Fonte: Cyber Affairs)