Il Sars-CoV-2 circolava in Italia fin dall’estate 2019, ben prima dello scoppio della pandemia, a settembre c’era chi aveva già sviluppato gli anticorpi: a rivelarlo uno studio guidato dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano, che ha preso in esame una serie di screening per la campagna contro il cancro al polmone fatti in tempi non sospetti, ma che ri-guardati dopo lo scoppio della pandemia hanno rilevato qualcosa di inatteso. E molto preciso: il primo caso documentato dalla presenza di anticorpi in campioni di sangue è in Veneto, datato il 3 settembre; ma fin dall’inizio il maggior numero di casi era nascosto in Lombardia.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Tumori Journal, e porta la firma di Giovanni Apolone, direttore dell`Istituto nazionale dei tumori di Milano, e di Emanuele Montomoli dell’Università di Siena, condotto anche in collaborazione con l`Università Statale di Milano. Ed è “il primo studio che riporta evidenze scientifiche della progressiva diffusione sottotraccia del virus in Italia già nell`estate del 2019, diversi mesi prima dell`identificazione del primo paziente italiano affetto da Covid-19” (ovvero a febbraio 2020), sottolineano i ricercatori. Non solo: “I nostri risultati indicano che Sars-CoV-2 circolava in Italia persino prima del primo caso ufficialmente riportato dalle autorità cinesi”, ovvero a dicembre 2019. E questo “getta nuova luce sulla nascita e la diffusione della pandemia da Covid-19”.
Ma i ricercatori come sono arrivati a questa datazione? Nell`ambito dello studio Smile – uno studio prospettico di screening del cancro al polmone – i ricercatori hanno rilevato un’inaspettata presenza di anticorpi specifici per i Sars-Cov-2 nei partecipanti allo studio, tutti asintomatici. Polmoniti anomale in Italia prima del paziente zero di Covid-19, diagnosticato il 21 febbraio a Codogno, avevano fatto intuire che il virus fosse in Italia ben prima, le analisi di acque reflue a Torino e Milano avevano confermato la presenza del virus già a dicembre 2019, così come gli anticorpi trovati nel sangue dei donatori avevano già datato la presenza del virus in Italia ai primi di febbraio, ma lo studio pubblicato l’11 novembre su Tumori Journal, rivela con precisione un dato: a settembre 2019 il 14,2% del campione esaminato presentava già anticorpi per il nuovo Coronavirus.
La campagna “smile” di screening per il tumore al polmone da settembre 2019 a marzo 2020 ha coinvolto 959 volontari sani (che hanno aderito alla tradizionale campagna di screening dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano che riguarda forti fumatori, sopra i 50 anni). I volontari sono stati sottoposti a Tac ai polmoni e analisi del sangue. Dopo lo scoppio della pandemia i ricercatori hanno fatto test sierologici di laboratorio a tutti i campioni di sangue che avevano già raccolto e che erano conservati. E il risultato parla chiaro: 111 su 959 (11.6%) campioni hanno mostrato specifici anticorpi per il Sars-CoV-2, Immunoglobuline M o G o entrambe (IgM nel 10.1% – IgG nell’1.7%). Tutti i pazienti erano asintomatici nel momento in cui i campioni sono stati prelevati.
Di questi 111 positivi, 23 risalgono a settembre, 27 a ottobre, 26 a novembre, 11 a dicembre, 3 a gennaio e 21 a febbraio. I positivi provengono da 13 regioni, la metà dalla Lombardia, poi Piemonte, Lazio, Emilia Romagna, Toscana, e Veneto. Il primo campione positivo (IgM-positive) per l’esattezza è stato registrato il 3 settembre in Veneto, seguito da un caso in Emilia Romagna (il 4 settembre), uno in Liguria (il 5 settembre), 2 in Lombardia (provincia di Milano, il 9 settembre) e uno nel Lazio a Roma l’11 settembre. Alla fine di settembre il 56.5% dei campioni positivi (13 dei 23 positivi registrati dallo studio a settembre) erano registrati in Lombardia, 3 in Veneto, 3 in Piemonte, e uno ciascuno in Emilia Romagna, Liguria, Lazio, Campania, e Friuli.
Inoltre dei 111 casi, 6 sono risultati positivi anche agli anticorpi neutralizzanti il virus, 4 dei quali già a inizio ottobre. Questo “è un dato molto importante – spiega Gabriella Sozzi, direttrice della struttura complessa genomica-tumorale all’Istituto tumori di Milano – che evidenzia la specificità del test, dimostra che non può essere una cross reattività con altri virus”. “E’ stata testata con un test di neutralizzazione (gli stessi che vengono usati per testare gli anticorpi monoclonali) condotto in laboratorio che si conduce con il virus vivo, la capacità di questi anticorpi di uccidere il virus, il Sars-cov-2 e solo il Sars-cov-2, un test quindi ce può validare quegli anticorpi come specifici contro il Sars-cov-2. Gli anticorpi di queste 6 persone erano in grado di uccidere il virus vivo del Sars-cov-2”. Una riprova che non lascia spazio ai dubbi, e condotta (a maggior garanzia) nei laboratori dell’università di Siena, ente esterno all’Istituto tumori. “Il test quindi mette a riparo dalla critica che potrebbero essere anticorpi aspecifici diretti contro altri virus della famiglia”.
Lo studio pone anche un interrogativo: forse gli studi di siero-prevalenza hanno sottostimato il dato della circolazione del virus e di quanti casi di Covid sottotraccia ci siano stati in Italia: “Il reale numero degli italiani che sono già stati in contatto con il virus potrebbe essere approssimativamente un milione e mezzo, la maggior parte di questi asintomatici, una stima 5 volte maggiore di quelle ufficiali”, annotano i ricercatori nello studio pubblicato dal Tumori Journal. Questo aspetto dovrà essere approfondito anche in relazione ai modelli usati, comunque – sottolinea Sozzi “l’importanza di questo studio è che per la prima volta si è avuto accesso a campioni di sangue raccolti prima della pandemia che ha permesso di ricostruire l’origine e la dinamica della presenza del virus in Italia. Abbiamo fatto luce e probabilmente con questi elementi si può quasi riscrivere la storia dell’infezione virale, anticipandola di molto tempo rispetto alla comparsa dei primi malati osservati in Italia a febbraio”.
Dalla fine dell’estate quindi il virus già circolava, ai primi di settembre già c’era chi aveva sviluppato anticorpi, il picco dell’epidemia però è stato lento, i mesi peggiori dell’esplosione marzo-aprile. C’è un’altra particolarità che emerge dallo studio che merita attenzione: “La maggior parte delle persone che contraggono il virus è asintomatico, ed è probabile che all’inizio circolasse con una carica virale bassa. Infatti i titoli degli anticorpi dei soggetti, tutti asintomatici, che abbiamo analizzato erano piuttosto bassi – spiega Gabriella Sozzi – probabilmente all’inizio il virus ha circolato con una carica virale bassa, poi quando il numero dei contagiati è diventato importante, si sono visti sintomi importanti. Perché ci fosse una percentuale abbastanza alta di volontari con anticorpi ma che comunque non manifestavano la malattia non abbiamo una spiegazione. Ma si può fare l’ipotesi che fossero cariche virali basse, in soggetti asintomatici. Questo virus ha dimostrato che il 5% dei casi manifesta sintomi molto gravi; dove però il 5% di un numero molto grande dà un numero molto grande, come vediamo adesso”.