Il giorno di Jeb, il terzo Bush a candidarsi alla Casa Bianca

Quasi 27 anni dopo l’elezione a presidente degli Stati Uniti di suo padre, che diede forma a una dinastia politica proseguita con i due figli, Jeb Bush annuncerà oggi ufficialmente la sua candidatura alla Casa Bianca. Il New York Times gli dedica, per questo, un lungo articolo di presentazione. L’ex governatore della Florida affronterà una campagna elettorale che per dimensioni, costi e ritmi non assomiglierà a nessuna di quelle affrontate dal padre George H. W. Bush, 41esimo presidente (1989-1993), e dal fratello George W. Bush, 43esimo presidente (2001-2009). Come terzo membro della sua famiglia a cercare di fare il suo ingresso alla Casa Bianca, porterà nella corsa presidenziale un cognome che è stato esaltato e criticato; ingombrante, senza dubbio. Per questo, Bush userà un logo sobrio, già usato nella sua campagna elettorale persa nel 1994 per diventare governatore, che esclude il suo cognome e punta su un semplice “Jeb!”. Sua moglie Columba e i loro tre figli parteciperanno all’annuncio della candidatura, in programma alle 15 (le 21 in Italia) al Kendall Campus del Miami Dade College, mentre saranno assenti i due ex presidenti.

I consiglieri e gli alleati avevano predetto, mesi fa, che Jeb Bush sarebbe emerso come candidato dominante per la nomination repubblicana, visti i suoi risultati da governatore della Florida, la sua popolarità alla fine dei due mandati e la forza, politica e finanziaria, garantita dalla famiglia Bush. Ora, però, sembra che la corsa alla scelta del candidato del Grand Old Party sarà molto più difficile e ricca di rivali: secondo la media dei sondaggi di Real Clear Politics, Bush è in testa con l’11,3% delle preferenze, davanti al governatore del Wisconsin, Scott Walker (10,8%), e al senatore Marco Rubio (10,3%); tra candidati ufficiali e probabili, i repubblicani a provare la corsa alla presidenza potrebbero essere quasi venti. Nel suo discorso, Bush si presenterà come un imprenditore di successo che, diventato governatore, ha mantenuto le promesse fatte. “Ho detto quello che avrei fatto e ho rispettato quell’impegno” ha detto in un video pubblicato ieri; “il risultato è stato un netto miglioramento per la Florida”.

Ricorderà il taglio delle tasse, con un risparmio di miliardi di dollari, e la riduzione delle dimensioni del governo statale, due temi sempre apprezzati dai repubblicani. Porterà un messaggio di conservatorismo ottimistico, non interessato all’ostruzionismo, alla partigianeria e alle lamentele che, ai suoi occhi, hanno portato alla ribalta nazionale rivali meno esperti come i senatori Ted Cruz e Rand Paul, altri candidati alla nomination repubblicana. Leadership “non è solo lagnarsi. Ci sono molte persone che parlano e sono piuttosto brave a farlo – ha detto nel video – ma dobbiamo iniziare a sistemare le cose”. L’annuncio metterà fine alle critiche delle ultime settimane, durante le quali Bush ha di fatto agito da candidato, senza però formalizzare la sua decisione, per un motivo molto semplice: finché la candidatura non è ufficiale, un politico non deve rispettare le restrizioni relative a spese e finanziamenti; Bush, inoltre, al contrario di un candidato ufficiale, ha potuto raccogliere fondi per un ‘super Pac’ a suo favore, ovvero un comitato di azione politica indipendente che può essere finanziato in modo illimitato, ma che non può finanziare direttamente un candidato o un partito.

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