Appassionato nel tentare di dimostrare la perfetta continuità tra un’epoca e l’altra, anche il Vaticano questa volta non ha potuto che ammettere l’evidente discontinuità tra Mike Pompeo, Segretario di Stato all’epoca di Donad Trump snobbato dal papa quando venne a Roma a settembre del 2020, e Antony Blinken, il nuovo ministro degli Esteri degli Stati Uniti, ufficialmente ricevuto da Francesco questa mattina nel Palazzo apostolico vaticano. Tanto i rapporti tra Trump e il Pontefice argentino erano palesemente improntati alla reciproca diffidenza, quanto l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca ha rasserenato gli animi. Senza per questo sciogliere il nodo delle relazioni con la Cina, lo stesso tema sul quale inciampò Mike Pompeo.
A dividere la Santa Sede dagli Stati Uniti è la visione di lungo periodo sui rapporti con Pechino. Mentre Washington, pur con una diversità di toni da Trump a Biden, considera la Cina un avversario geopolitico, la priorità del Palazzo apostolico, di natura spirituale, è dialogare con il Paese del Dragone, consapevole che il cattolicesimo asiatico ha un futuro promettente e che in Cina, in particolare, vive una comunità cattolica relativamente minoritaria, ma rilevante in termini assoluti, oltre che di grande rivalità. Non casualmente Francesco, affiancato dal suo cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, ha coronato, nel 2018, il sogno lungamente accarezzato dai suoi predecessori, di siglare con le autorità cinesi uno storico accordo sulle nomine episcopali. E a ridosso del rinnovo dell`accordo per un secondo biennio, nel settembre dell’anno scorso, con irrituale brutalità, Mike Pompeo, ha attaccato apertamente la linea della Santa Sede alla vigilia di una visita in Vaticano, via Twitter e con un articolo su una rivista ultraconservatrice. Tanto da far sospettare i collaboratori del papa che quella di Pompeo fosse più una provocazione che una critica costruttiva. Capace, però, di togliere gli ultimi dubbi alla controparte cinese. Pochi giorni dopo, ad ogni modo, la Santa Sede ha rinnovato l`accordo con Pechino.
Blinken, diplomatico di lungo corso, è stato ricevuto con tutti gli onori dal papa e, prima, dal cardinale Parolin e dal “ministro degli Esteri” vaticano, l’arcivescovo inglese Paul Richard Gallagher. E’ ipotizzabile che sul dossier cinese, pur dietro i toni cortesi, si registri una notevole distanza. Ma potrebbe anche emergere qualche puntuale motivo di sintonia. Solo pochi giorni fa, infatti, la Santa Sede ha espresso “preoccupazione” per la situazione di Hong Kong. Ad esprimere la posizione ufficiale del Palazzo apostolico è stato mons. Gallagher, che nel corso di una conferenza stampa sull’incontro che il Papa ospiterà il primo luglio sulla difficile situazione politica del Libano, ha risposto ad una domanda critica proprio sul presunto atteggiamento morbido del Vaticano con la Cina. “Ovviamente Hong Kong è oggetto di preoccupazione per noi”, ha risposto il presule. “Il Libano è un luogo dove percepiamo che possiamo dare un contributo, non lo percepiamo in Hong Kong: si possono dire molte parole appropriate che sarebbero apprezzate dalla stampa internazionale e da molti paesi, ma io, e come me credo molti miei colleghi, dobbiamo ancora essere convinti di poter fare la differenza. Qui abbiamo un’opportunità, mentre in Hong Kong abbiamo complessivamente una situazione molto diversa”, ha detto Gallagher.
“Sempre rimanendo aperti all’azione dello Spirito Santo”, ha chiosato, con un sorriso, il portavoce vaticano, Matteo Bruni, che moderava la conferenza stampa. “Speriamo anche – ha aggiunto Gallagher riprendendo la parola – che il nuovo arcivescovo (il gesuita Stephen Sau-yan Chow, nominato a maggio dal papa, ndr.) farà molto bene”. Nel nome di un ritrovato multilateralismo, molto caro a Bergoglio, nell’era Biden la Casa Bianca ha già riallacciato con il Vaticano molti fili che Trump aveva spezzato. Immigrazione, Medio Oriente (dalla Siria al Libano al conflitto israelo-palestinese), vaccini, clima sono altrettante questioni sulle quali i pochi mesi della nuova presidenza hanno ridotto le distanze, o addirittura siglato nuove sitonie. Il cambiamento climatico, in particolare, ha mostrato una convergenza piena: l’inviato speciale di Biden, John Kerry, è stato recentemente ricevuto dal papa, la Santa Sede organizza a inizio ottobre un incontro di leader religiosi e scienziati in vista del vertice della Cop26 prevista a novembre a Glasgow e non è escluso che Jorge Mario Bergoglio parteciperà personalmente al summit scozzese.
Sarebbe l’occasione per incontrare Joe Biden. Ma ambienti diplomatici a Roma ritengono che un incontro potrebbe avvenire già prima, a ottobre, se il presidente degli Stati Uniti verrà a Roma, e con ogni probabilità lo farà in occasione del vertice dei capi di stato e governo del G20, 30 e 31 ottobre. Visita che per l’inquilino della Casa Bianca si colloca nel quadro dello scontro in corso con la conferenza episcopale statunitense. Se il papa ha infatti salutato cordialmente la sua elezione, il vero problema di Biden, il secondo presidente cattolico del paese dopo John Fitzgerald Kennedy, è in casa. I vescovi, maggioritariamente conservatori, hanno da poco deciso, di approvare, prevedibilmente a novembre, un documento sulla “responsabilità eucaristica”. Una formula che cela il divieto di accedere alla comunione per un politico, come Biden, non contrario alla vigente legislazione sull’aborto. Il Vaticano ha cercato di frenare l’episcopato, sinora senza successo. Il papa, per Biden, è un alleato prezioso. Anche se non si scioglie il nodo cinese. askanews