Il Vaticano osserva il caso Casamonica. E intanto guarda al Giubileo

di Maurizio Balistreri

Il Vaticano tace sul caso Casamonica. L’Osservatore Romano non riporta la vicenda dei funerali-show del boss rom al Tuscolano, tra gigantografie del “re di Roma”, lanci di petali dall’elicottero e banda che intona la nenia del “Padrino”. La Santa Sede guarda con un filo di apprensione all’ormai prossima apertura del giubileo della misericordia (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016) che peraltro precederà di meno di un mese l’avvio del maxi processo su “mafia capitale” (5 novembre) con la alta probabilità che, curiosamente, i due eventi, nel corso dell’anno prossimo, procedano di pari passo. Papa Francesco, ovviamente, è informato su quanto avvenuto nella parrocchia salesiana di don Bosco, così come il cardinale vicario per la diocesi di Roma, Agostino Vallini, il cui pensionamento, compiuti ad aprile scorso i canonici 75 anni, slitterà prevedibilmente a dopo l’anno santo, e il vescovo ausiliare di zona, mons. Giuseppe Marciante. Oltretevere osservano il rimpallo di responsabilità tra istituzioni. Sullo sfondo, il Giubileo che si avvicina, mentre dal Campidoglio sono partite assicurazioni e il primo sblocco di fondi per i lavori di preparazione. L’organizzazione verrà formalizzata con un consiglio dei ministri di fine mese. Dal Laterano, sede del Vicariato, è trapelato “imbarazzo” per la vicenda Casamonica. La questione è stata gestita dal parroco.

“Io – ha raccontato lo stesso don Giancarlo Manieri al Messaggero – non sono uscito fuori. Mi hanno raccontato quello che è successo: della carrozza, dei cavalli e dell’elicottero. Io mi occupo di quello che succede dentro la chiesa”. Quanto ai manifesti, “ho chiesto chi li avesse messi e chi era vicino a me mi ha riferito che sono stati proprio i Casamonica. Nel frattempo stava arrivando il feretro e non si potevano levare. Poi è iniziata la funzione ed è calato il silenzio”. Dei Casamonica “ho sentito parlare più volte. Ma personalmente non li ho mai visti né incontrati”. Se avesse saputo che il funerale era di un boss lo avrebbe celebrato ugualmente? “Perché no? Rifiutarlo che cosa significava? Il perdono c’è per tutti. La Chiesa non discrimina, io l’assoluzione la do a tutti”. Io “ho saputo all’ultimo momento cosa stava accadendo. Quasi per caso. Avevo notato alcune incertezze negli occhi dei miei confratelli. Più di uno di loro mi ha detto: ‘Allora lo celebri tu, eh?’. Io non mi sono tirato indietro. Cosa dovevo fare”. Il tema è complesso. L’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, ha rievocato un caso analogo, in un’intervista a Repubblica, quando, da vescovo di Piazza Armerina, morì il capocosca gelese Daniele Emmanuello: “Negai i funerali all’interno della chiesa madre mentre acconsentii, soltanto per gli stretti famigliari, alle esequie nella cappella del cimitero. Vigilò la polizia. Io venni minacciato. Non fu un bel momento”. Il caso è tanto più curioso perché proprio nella stessa parrocchia del Tuscolano si celebrarono, nel lontano 1990, i funerali del boss della Magliana Renatino de Pedis (poi sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare (fino a trasloco a Prima Porta per intervento della procura e del Vaticano di Benedetto XVI) e, nel 2006, furono negati quelli di Piergiorgio Welby.

Al Vicariato ricordano quest’ultimo episodio, quando il vicario era il cardinale Ruini, sottolineando che se, per la Chiesa, per un malavitoso si può supporre fino all’ultimo un moto di resipiscenza, Welby volle che gli fossero sospese le cure che lo tenevano in vita, andando contro gli insegnamenti della stessa Chiesa. “All’epoca – ha detto da parte sua don Mattei – i confratelli si erano detti disposti a celebrare le esequie a Piergiorgio Welby. Ma dall’alto delle nostre gerarchie si presero la responsabilità, anche perché in quel caso la persona abiurò la religione”. In linea con quanto affermato, per la prima volta formalmente, da Papa Francesco (che in Calabria disse che gli ‘ndranghetisti sono “scomunicati”), la Radio vaticana intervista don Luigi Ciotti, prete anti-mafia e fondatore di Libera, che ricorda, è “incompatibile la mafia con il Vangelo”: “Io provo proprio molta sofferenza”, dice del funerale del boss Casamonica, “perché ancora una volta è un atto di arroganza, di forza verso le istituzioni, verso lo Stato … Non possiamo dimenticarci la falsa religiosità dei mafiosi: una religiosità di facciata, interessata soprattutto agli aspetti formali ed esteriori della fede”.

Ancora: “E’ stato un colpo di mano, quello che ieri è avvenuto lì, giocando proprio sull’onestà, sulla buona fede di quella parrocchia, di quel parroco, che è stato travolto da tutto questo. Quindi dobbiamo avere un senso di rispetto nei suoi riguardi. Papa Francesco ha sottolineato che chi segue la strada del male non è in comunione con Dio: ieri è stato compiuto un atto di forza, di violenza in questo senso. Mi chiedo quanti hanno assistito a tutto questo in silenzio”. Il prefetto di Roma Franco Gabrielli, in prima linea nella gestione del prossimo Giubileo, sceglie Famiglia cristiana per analizzare la “cosa grave” accaduta che “non doveva accadere”: “Tre le cause, a mio avviso. Il funerale è stato celebrato in un quartiere diverso da quello di appartenza del boss. Il periodo ferragostano ha generato un allentamento delle difese immunitarie anche in campo sociale. Infine, ed è una nostra mancanza, l’apparato di sicurezza non ha saputo cogliere i giusti segnali di quel che sarebbe successo”. Una lezione per il futuro. A partire dal prossimo Giubileo della misericordia. Che si srotolerà mentre nelle aule di giustizia si celebra il processo, ben meno misericordioso, per “mafia capitale”.

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