In un clima politico già teso, il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), Fabio Pinelli, ha scatenato nuove polemiche con le sue dichiarazioni in occasione di un convegno a Firenze sul “principio di legalità nell’età del costituzionalismo multilivello”. L’incontro, organizzato dalla Corte dei Conti, ha visto la partecipazione, tra gli altri, del ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Tuttavia, è stata la posizione di Pinelli a polarizzare il dibattito, sollevando interrogativi sul rapporto tra magistratura, legge e autonomia giudiziaria.
Nel suo intervento, Pinelli ha criticato apertamente i magistrati che disapplicano leggi nazionali considerate in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, richiamando l’articolo 101 della Costituzione italiana. Secondo Pinelli, i giudici non possono anteporre interpretazioni soggettive o valoriali della Costituzione alle leggi ordinarie. “Il costituente parla chiaramente di ‘legge’, non di ‘Costituzione’”, ha affermato, sostenendo che il principio di legalità rischia di essere compromesso da decisioni che sconfinano nel diritto giurisprudenziale.
Pinelli ha poi espresso preoccupazione per quella che ha definito una “contaminazione” tra diritto positivo e interpretazioni giurisprudenziali, sottolineando che la legittimazione dei magistrati deve essere tecnico-professionale e non rappresentativa. Ha concluso invocando un “impegno straordinario” per preservare gli equilibri istituzionali, denunciando una crisi che, a suo dire, mette in pericolo la salute della democrazia italiana.
Il ministro Nordio ha fatto eco a Pinelli, ribadendo che i giudici devono attenersi al principio di legalità senza scivolare nel “diritto creativo”. Anche Mantovano ha attaccato le disapplicazioni giudiziarie, definendole un atto che mina la credibilità delle istituzioni democratiche. Ha sottolineato, inoltre, come tali decisioni possano alimentare la percezione di un’ingerenza ideologica nella giustizia.
Le parole di Pinelli non sono rimaste senza risposta. I magistrati del gruppo progressista Area hanno criticato duramente le sue affermazioni, ricordando che la legge non si limita al Parlamento nazionale ma include anche le fonti sovraordinate, come la Costituzione, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e i trattati dell’Unione Europea.
Hanno sottolineato che il principio di separazione dei poteri richiede un bilanciamento tra legislativo e giudiziario, rigettando ogni tentativo di subordinare la magistratura alla volontà politica del momento. Secondo Area, la posizione espressa dal vicepresidente del CSM tradisce il senso autentico delle democrazie moderne, che si fondano sul rispetto dei vincoli costituzionali e internazionali.
Questa vicenda evidenzia un problema più ampio: il delicato equilibrio tra il principio di legalità, l’autonomia della magistratura e l’interazione tra fonti normative diverse in un contesto multilivello. Mentre Pinelli denuncia una deriva giurisprudenziale che metterebbe a rischio la democrazia, i magistrati difendono il loro ruolo di garanti dei diritti costituzionali e sovranazionali.
In un momento storico in cui le istituzioni democratiche sono oggetto di profonde tensioni, la questione non è soltanto giuridica ma anche politica. La separazione dei poteri non è un semplice principio astratto, ma il fondamento stesso di uno Stato di diritto. Qualsiasi compromesso su questo fronte rischia di avere conseguenze durature sull’equilibrio istituzionale e sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni.