Un agguato senza perché per un delitto insoluto, che si porta via una giovane cronista televisiva ed un operatore. In definitiva comunque due pesci piccoli nel panorama multicolore di una città occupata e liberata, assediata e in preda al nulla come Mogadiscio. Sono passati 22 anni eppure va detto che Ilaria Alpi la giornalista del Tg3 e Miran Hrovatin sono poca cosa nel quadro complessivo. Il movente che potrebbe aver mosso la mano del killer, di colui che ha tirato il grilletto del kalashnikov, è un mistero che non è stato dipanato, neanche oggi con la assoluzione del molto presunto assassino, il somalo Hasci Omar Hassan. Il processo di revisione concluso a Perugia e annunciato stamane con una requisitoria del pg che chiedeva proprio di alzare le mani davanti al soggetto che da oltre 17 anni era stato in carcere non chiude nulla. La mamma di Ilaria, la signora Luciana, lo dice abbastanza chiaramente. “Sul caso hanno lavorato 5 magistrati e 3 procuratori che non sono riusciti a porre fine alle troppe bugie, ed ai troppi depistaggi che hanno caratterizzato questa vicenda”. Poi la riflessione è tutta a questo tempo passato e che non è servito a nulla. “Sono stanca e sola dopo la morte di mio marito, 6 anni fa. Non sto bene. Parlerò con mio avvocato per decidere cosa fare. Ho l’impressione che gli inquirenti non siano mai stati interessati a scoprire la verità”.
E’ il 20 marzo 1994 quando Ilaria, viene uccisa. Insieme a lei c’è Miran Hrovatin, 45 anni. Pochi minuti dopo il delitto, l’agguato, arriva la tv svizzera e gira immagini fondamentali per capire. Nelle riprese salta spesso fuori il volto e la figura di Giancarlo Marocchino, imprenditore con molti affari nel paese al centro di una operazione internazionale come ‘Restore Hope’ che viene tentata per la prima volta, di ‘peace enforcement’, con l’egida Onu e testa Usa. Dove al periodo di carestia e guerra civile si sommeranno i diversi disastri possibili nella confusione. Dal ‘Black Hawk down’, l’elicottero americano abbattuto ed i soldati fatti a pezzi; agli attacchi al ‘Check point pasta’, con i nostri militari lasciati soli; e poi le vendette sui prigionieri, i nonnismi sciocchi e che porteranno a sporcare l’impegno a fare bene del contingente tricolore. In questa miscela c’è Marocchino che aiuta i giornalisti a districarsi e capire, fa il collegamento tra autorità ufficiali e chi comanda veramente. Sempre assolto è stato testimone anche in questo ultimo filone. In base a molta pubblicistica sarebbe il portatore di verità e chissà quali segreti.
La storia è invece quella più italiana di sovrapposizioni infinite che cominciano già dal primo pubblico ministero che se ne occupò, Giuseppe Pititto, presto sollevato dall’incarico ed esautorato. Nel frattempo erano usciti di scena altre facce note, come il sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Yussuf, l’ultima persona che la Alpi aveva intervistato prima di morire, per fare luce su un presunto traffico di armi effettuato dai pescherecci. Una inchiesta del settimanale Panorama riguardo i soprusi del corpo di spedizione italiano porta a Roma alcune decine delle vittime, vere o sedicenti. Tra questi siede Omar Hasci Hassan, presto indicato come “facente parte del commando”. Chi lo accusa sparisce dopo poco e così il primo processo, il 20 luglio 1999, finisce con una assoluzione con formula piena. Il 24 novembre 2000, dopo un breve periodo di vacanza in Olanda, Hasci viene condannato dalla corte d’assise d’appello al carcere a vita. Per il somalo scattano in aula le manette. Piange, si dispera, si inginocchia e chiede il perché. I genitori di Ilaria contrappuntano: “Non ci accontentiamo di questa verità. Vogliamo i mandanti veri”.
Dopo un annullamento della Cassazione e un nuovo processo di secondo grado l’imputato Hassan viene condannato a 26 anni di reclusione. Nel luglio 2003 intanto è stata avviata la commissione parlamentare d’inchiesa Alpi-Hrovatin, presidente l’avvocato Carlo Taormina. Al termine dei lavori finiranno con tre relazioni, una di maggioranza e due di minoranza. E’ il carnevale delle ipotesi, come scriveranno alcuni ossevatori più attenti. Dove ci sono atti di procure che indagano sul traffico di rifiuti, armi, scorie nucleari. Nel febbraio 2015, alle telecamere del tg3 e di ‘Chi l’ha visto?’ il grande accusatore di Hasci, il suo connazionale Gelle, ritratta: “Lui è innocente, io neanche c’ero. Mi hanno chiesto di indicare un uomo e l’ho fatto”. Nel gennaio scorso la corte d’appello di Perugia riapre il processo per Hasci. E’ l’inizio della discesa definitiva verso la libertà. Anche se da un po’ di tempo si erano aperte le porte del carcere con l’affidamento ai servizi sociali e il lavoro in una cooperativa gestita da un sacerdote. Gli avvocati Douglas Duale, Tonino Moriconi e Natale Caputo hanno vinto. La battaglia per tirare fuori dalla cella un innocente è oggi finita. Il film però non spiega chi è stato e perché. Ilaria e Miran sono morti senza un motivo. Almeno per la giustizia.