Ilva, ancora senza accordo sindacale. Lega-M5s divisi sul futuro dell’azienda
L’azienda ha liquidità sino a luglio e perde 30 milioni al mese
Incertezza e divisioni. E’ questo il nodo Ilva ad una settimana dal via libera dell’Antitrust europeo, per il quale Am Investco, la societa’ di Arcelor Mittal, puo’ acquisire gli impianti del gruppo siderurgico in amministrazione straordinaria purche’ dismetta impianti e produzione in diversi Paesi d’Europa. Quando a giugno 2017, Am Investco si aggiudico’ la gara si vide nel passaggio europeo il nodo piu’ difficile. Perche’ Mittal era gia’ un big mondiale e prendere anche Ilva avrebbe significato diventare ancora piu’ grande e mettere a rischio concorrenza e liberta’ di mercato in Europa. I fatti hanno pero’ dimostrato che Bruxelles, alla fine, e’ stato un ostacolo relativo perche’ una quadratura con l’Antitrust si e’ comunque trovata. Al contrario, invece, i problemi sono tutti in Italia come dimostrano le vicende degli ultimissimi giorni. Ilva divide il sindacato, le istituzioni locali pugliesi e la politica nazionale. Il caso e’ talmente complesso da costituire una mina anche per la nascita del nuovo Governo tra Cinque Stelle e Lega. Perche’ i M5s vogliono la chiusura delle fonti inquinanti, il superamento dell’acciaio, la riconversione dell’economia di Taranto attraverso un accordo di programma che da un lato assicuri lavoro al personale Ilva – che sarebbe impiegato nella bonifica del sito – e dall’altro apra nuove prospettive alla citta’.
Ecco perché la Lega sostiene l’Ilva
Il turismo, per esempio. La Lega, pero’, non vuole affatto le stesse cose. Chiede la continuita’ dell’Ilva a condizione che sia messa a norma ambientalmente e assicuri lavoro. C’e’ anche una ragione politica dietro questo: l’acciaio di Taranto alimenta il Nord. Cioe’ serve a far marciare altri impianti Ilva come Genova, Novi Ligure e Racconigi, ma anche tante aziende manifatturiere tra Piemonte, Lombardia e Veneto. In altri termini, cio’ che si produce a Taranto sostiene un pezzo di industria del Paese. Non a caso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha detto che Ilva vale un punto di Pil italiano. E a favore di un’Ilva risanata e rilanciata sono anche tutte le altre forze politiche a partire da Pd e Forza Italia. Divisa la politica, ma diviso anche il sindacato dei metalmeccanici. L’incontro del 10 maggio lo ha ben mostrato. All’appuntamento, il ministro Carlo Calenda si e’ presentato con una proposta che teneva si’ fermi i 10mila assunti da Am Investco, ma, rispetto ai poco meno di 14mila dipendenti totali, riduceva gli esuberi, stimati inizialmente in circa 4mila. Altri 1500, infatti, sarebbero dovuti transitare ad una societa’ mista tra Ilva e l’agenzia pubblica Invitalia occupandosi di bonifiche e servizi. Eppoi, ci sarebbe stato un plafond di 200 milioni per esodi incentivati e pensionamenti in modo da scremare la platea lavorativa su base volontaria, misure per l’indotto, che e’ in sofferenza, il rafforzamento degli interventi e dei controlli ambientali cosi’ come chiesto dal Comune di Taranto per ritirare il ricorso al Tar.
I sindacati bocciano la proposta del governo
Usb e Fiom Cgil hanno bocciato la proposta in modo netto e anche la Uilm non era favorevole. Ritenendo che il testo proposto da Calenda non potesse essere firmato il giorno stesso ma richiedeva, invece, un approfondimento per integrarlo. La Fim Cisl, invece, avrebbe voluto cominciare la trattativa e andare avanti per trovare una soluzione. Ma la spaccatura sindacale ha convinto il ministro che era meglio fermare tutto e passare la palla al nuovo Governo. E’ stato un bene o un male lo stop? Per la Fiom, un bene, visto che i metalmeccanici Cgil hanno bocciato in toto la proposta di Calenda (“non accettiamo diminuzione occupazione, ne’ esternalizzazioni”). La Uilm dice invece che e’ mancato lo spazio per negoziare mentre la Fim rimprovera a Calenda di aver mollato troppo presto, tant’e’ che e’ subito ripartita alla carica per riaprire il tavolo al Mise. Approfittando del fatto che un Governo nuovo ancora non c’e’, forse si puo’ tentare di salire in extremis sul treno di un possibile accordo. Infine, sono divise anche le istituzioni locali in Puglia. Il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, esprime disappunto per quanto accaduto il 10, auspica una ripresa e marca sempre piu’ le distanze da Emiliano. Che invece addossa a Calenda il fallimento dell’operazione Ilva, attirandosi cosi’ le accuse pesanti di diversi Dem: Nannicini, Bellanova, De Vincenti.
L’azienda ha liquidità sino a luglio e perde 30 milioni al mese
In questo contesto di pluridivisioni, si stagliano grandi fattori di incertezza. Cioe’ di un’azienda che ha liquidita’ sino a luglio e che perde 30 milioni al mese perche’ marcia al di sotto delle sue potenzialita’. Prorogare tale situazione significa prosciugare la cassa, mettere a rischio gli stipendi al personale, ritardare ulteriormente i pagamenti all’indotto, far correre le perdite, allontanare ancora l’Ilva dal mercato e da potenziali nuovi clienti. E inoltre: non mettere mano a tutti gli investimenti programmati, porre in bilico le scadenze del nuovo piano ambientale (piu’ tardi si comincia, maggiore e’ il rischio di slittamenti), peggiorare le condizioni generali dell’impianto. Senza trascurare, poi, che verrebbero meno sia le nuove garanzie ricevute dal Comune in materia ambientale – di qui il prossimo ritiro del ricorso al Tar -, che i 200 milioni per gli esodi. Sempre piu’ evidente, quindi, che solo l’arrivo del nuovo investitore puo’ consentire di voltare pagina. L’amministrazione straordinaria, infatti, non e’ nelle condizioni di farlo. Mittal, ora che ha avuto l’ok dalla Ue, si dice pronto ad entrare in azienda tra giugno e luglio. Nessuno glielo puo’ impedire: ha vinto una gara, c’e’ un contratto, ha assunto degli impegni, Bruxelles gli ha detto si’. E quindi, a meno di capovolgimenti di fronte, Mittal si prendera’ ufficialmente l’Ilva. Ma se non dovesse esserci in extremis un accordo sindacale al tavolo del Mise, rimarra’ valido solo il contratto e occorrera’ rinegoziare tutto. Forse con meno garanzie. Un’incertezza non da poco.[irp]