Uccisi perché fuggiti da quella stiva in cui erano stati rinchiusi e che era ridotta ad una camera a gas: sono agghiaccianti i particolari che emergono dai racconti dei sopravvissuti alla tragedia del barcone soccorso il 19 luglio nel Canale di Sicilia con a bordo 561 migranti e 29 cadaveri. Secondo quanto riferito dai naufraghi, le vittime uccise dai 5 scafisti arrestati dalla polizia potrebbero essere una sessantina.I cinque, accusati di omicidio plurimo aggravato, sono un palestinese, un arabo saudita, un siriano e due marocchini. Secondo i racconti dei sopravvissuti in pochi minuti il calore nella stiva è diventato insopportabile. La disperazione ha spinto quindi i prigionieri a forzare la porta e salire in coperta dove si è consumata la tragedia. I sopravvissuti hanno visto i connazionali, amici e parenti, accoltellati o storditi a mani nude, scomparire in mare. Impotenti perché minacciati a non muoversi, pena la loro stessa sorte.
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