Immigrati, Ue verso quote nazionali obbligatorie

Nella loro riunione di mercoledì prossimo, a Bruxelles, i membri della Commissione europea avranno sul tavolo una proposta legislativa che potrebbe rappresentare una vera e propria svolta nella politica europea dell’immigrazione e dell’asilo, finora praticamente inesistente e demandata alle decisioni degli Stati membri. Come parte della nuova “Agenda dell’immigrazione e dell’asilo”, che il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha messo fra le prime priorità del suo mandato, e che sarà varata mercoledì, l’Esecutivo comunitario proporrà un sistema di ripartizione in quote nazionali dei rifugiati che arriveranno nell’Ue in situazione di emergenza umanitaria, come in questo momento a causa delle crisi in Siria e in Iraq. In pratica, gli Stati membri dovranno accogliere obbligatoriamente (e non solo su base volontaria, come vorrebbero alcuni governi) un numero di rifugiati che sarà deciso a livello Ue in base ad alcuni precisi criteri; quattro in particolare: la popolazione del paese, il suo prodotto interno lordo, il tasso di disoccupazione, e il numero di rifugiati già accolti. Fra i commissari c’è qualche perplessità, per esempio sul criterio della disoccupazione, ed è probabile che ci siano delle modifiche. Fondamentali, comunque, saranno due elementi: la capacità di assorbimento e quella di integrazione dei rifigiati in ciascun paese.

Sul testo che sarà sul tavolo dei commissari, uscito dalla riunione dei loro capi di gabinetto che si è svolta oggi a Bruxelles, saranno probabilmente lasciate in bianco le cifre, o le precentuali, riguardanti la chiave di ripartizione dei rifugiati che entreranno in ciascuna quota nazionale. Saranno i commissari a decidere; ma alla fine del mese, quando tutte le singole misure dell’Agenda saranno presentate. Comunque l’Alto commissariato Onu per i profughi parla di esigenze per almeno 20.000 rifugiati all’anno. Il testo sulle quote nazionali che varerà la Commissione, e che poi dovrà essere approvato dal Parlamento europeo e – a maggioranza qualificata – dal Consiglio Ue, sarà il primo vero tentativo di attuare una politica europea in questo settore, in base ai nuovi poteri che ha dato all’Unione il Trattato di Lisbona. Le politiche d’immigrazione e d’asilo sono state classificate infatti, con il nuovo trattato, come competenza cosiddetta “concorrente” fra Ue e Stati membri: questo vuol dire che la Commissione può proporre delle misure legislative comuni, e che queste, una volta approvate dal Parlamento europeo e dal Consiglio (in cui nessun paese ha diritto di veto), prevalgono sulle politiche nazionali preesistenti.

C’è una sola eccezione, e riguarda i cosiddetti “immigrati economici” (quindi non i rifugiati), per l’ammissione dei quali gli Stati membri conservano una competenza esclusiva (cioè decidono quanti legalizzarne ogni anno). Bisogna considerare, inoltre, che tre Stati membri sono o possono restare fuori da questo capitolo del Trattato Ue: la Danimarca, che un “opt-out” permanente, e poi Regno Unito e Irlanda, che hanno una clausola di “opt-in”: possono, cioè, decidere di volta in volta se partecipare o no a ciascuna delle misure sottoposte dalla Commissione europea al Consiglio. Per il governo conservatore di Londra, dunque, che su posizioni dure nei confronti dell’immigrazione ha basato la campagna per la rielezione del premier David Cameron, la proposta della Commissione non dovrebbe essere un problema. Lo sarà, invece, certamente per il governo ungherese di Viktor Orban, fortemente contrario alle quote obbigatorie. Ma Budapest non dispone di una clausola di eccezione, come nessun altro dei paesi dell’Est che sembrano reticenti sul progetto. I grandi paesi, invece, Germania, Francia e Italia, sono favorevoli, e in parte, sembra con qualche riserva, anche la Spagna.

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