E’ finito in un carcere tedesco l’ex amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, condannato sette anni fa in via definitiva a cinque anni di carcere per omicidio colposo per il rogo nello stabilimento Thyssen di Torino. Nell’incendio divampato nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette operai: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe De Masi. . Dopo una lunga serie di ricorsi che gli avevano permesso di non scontare la pena, l’ex manager è stato arrestato il 10 agosto scorso.
Le reazioni
Espenhahn era l’unico condannato a non aver ancora cominciato a espiare la propria pena che sconterà in regime di semi-libertà per cinque anni. “Finisce un’odissea giudiziaria che ha messo a dura prova i familiari delle sette vittime e la credibilità della giustizia italiana”, scrive in una nota il direttore dell’associazione Sicurezza e Lavoro, Massimiliano Quirico, “Ora si sancisce il principio che chiunque opera in Italia violando le normative su salute e sicurezza sul lavoro, non rimane impunito. Fosse anche un altissimo dirigente tedesco”.
“Non possiamo dire di essere contenti, perché i nostri cari non ci sono più e perché per avere questa minima, ormai insperata giustizia, abbiamo aspettato troppo a lungo”, è il commento Rosina Platì, mamma di Giuseppe Demasi, uno dei sette operai morti nel rogo della Thyssen, che viene riportato nella nota di Sicurezza e Lavoro, “A noi familiari fa anche rabbia aver dovuto lottare, da soli, sino allo sfinimento, soltanto con l’appoggio dell’associazione Sicurezza e Lavoro, che ci ha sostenuto anche nel ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per ottenere questa tardiva e insufficiente giustizia”.
“Non è un risarcimento, non è vendetta. È solamente l’unico epilogo che si sarebbe già dovuto compiere da tempo e che è stato solo rimandato”, commenta Antonio Boccuzzi, ex operaio della Thyssenkrupp di Torino scampato all’incendio del 2007, poi diventato parlamentare del Pd, “Quei 5 anni saranno ulteriormente ridimensionati. Lo sappiamo e non ci facciamo strane o vane illusioni, ma un passo è stato compiuto e questo non ce lo porta via nessuno”.
Il Guardasigilli
Sulla vicenda è intervenuto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. “A 16 anni dalla strage si è finalmente concluso l’iter di riconoscimento da parte della Germania, come richiesto dal ministero della Giustizia italiano, della sentenza di condanna anche per l’ultimo manager condannato in via definitiva nel processo per omicidio colposo” ha detto il ministro, ricordando che “in questi anni, il ministero ha seguito da vicino il procedimento, per poter assicurare una piena risposta di giustizia alle vittime”. “In questa giornata, desidero far giungere i miei pensieri di vicinanza e solidarietà ad Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto, e ai familiari di Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe De Masi, i sette dipendenti della ThyssenKrupp che morirono in quella terribile strage sul lavoro”.
La condanna
Lo scorso luglio Spiegel ha riportato la notizia di un manager tedesco di Thyssenkrupp – “condannato in Italia per un incendio con sette morti” – che ha visto fallire a fine maggio il proprio ricorso presso la Corte costituzionale federale tedesca per evitare di scontare la propria pena per «omicidio colposo e incendio doloso colposo”. Dell’accusato Spiegel non ha citato il nome, probabilmente per una ricorrente linea tedesca sulla privacy. Il manager è stato giudicato colpevole in un processo in Italia nel 2016 e il tribunale gli aveva inflitto una pena di nove anni e otto mesi di carcere. Il tribunale regionale di Essen ha poi commutato il verdetto di colpevolezza in una condanna a cinque anni di carcere in Germania, pena massima tedesca per questo reato. Dopo il tentativo di ricorso del condannato, la Corte costituzionale tedesca ha stabilito a maggio che il ricorso non fosse accettabile contro le modalità del processo in Italia e che, inoltre, la colpevolezza del manager sia evidente. Da quel momento, il passaggio successivo è diventata l’apertura delle porte del carcere.