In Italia ogni anno – a fronte di circa 400 annegamenti (fatali) e di 800 ospedalizzazioni per annegamento – si contano circa 60.000 salvataggi (solo sulle spiagge), e più di 600.000 interventi di prevenzione da parte dei bagnini. La cifra è contenuta nel primo Rapporto dell’Osservatorio per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione degli annegamenti e incidenti in acque di balneazione, istituito nel 2019 dal Ministero della Salute. Il Rapporto – informa l’Iss – è incentrato sugli annegamenti lungo i litorali marittimi, ma riporta anche una prima analisi di questi incidenti nelle acque interne, esamina il ruolo del servizio di sorveglianza e salvataggio nelle spiagge italiane, e descrive la fisiopatologia dell’annegamento. Per “acque interne” si intende una grande varietà di corpi idrici: non solo fiumi e laghi, ma anche torrenti, canali, bacini artificiali, rogge, cave e stagni. Fra il 2016 e il 2021, in questi luoghi si sono registrati in media 78 decessi all’anno, un numero particolarmente alto, se si considera che vengono frequentati da un numero limitato di persone.
Negli anni ’70 erano 1.400
In Italia, nei primi anni ’70, gli annegamenti erano quasi 1.400 all’anno, per andarsi poi a ridurre fino al valore di circa 400/anno alla fine degli anni ’90. Tra le cause che hanno prodotto questa riduzione degli annegamenti in Italia va annoverato senza dubbio l’apprendimento del nuoto, in genere nelle piscine, l’educazione alla sicurezza in acqua della popolazione, e, certamente, la crescente presenza dei bagnini e la loro maggiore professionalità. Nel periodo considerato (2016 – 2021), ogni anno si sono registrati in media 26 annegamenti di persone che non sanno nuotare, con il 62% dei casi che ha interessato immigrati, e altrettanti per le correnti di ritorno; gli annegamenti improvvisi, ossia a causa di un malore, sono in media 58 per stagione balneare, circa 5 per attività sportive e poco meno per caduta in acqua.
Serve un piano nazionale
“I dati disponibili sugli annegamenti indicano la necessità di predisporre un Piano Nazionale per la Sicurezza delle Spiagge, come d’altra parte raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il Piano dovrebbe contenere, da un lato indicazioni per elaborare una regolamentazione normativa uniforme, specificando tra i vari aspetti gli ambiti di competenza istituzionale a livello nazionale e territoriale, e dall’altro delle misure di prevenzione di immediato approntamento come standard minimo necessario per le aree di balneazione su tutto il territorio nazionale”. Alla stesura del Rapporto hanno partecipato: ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, ISPRA, Corpo delle Capitanerie di Porto, Gruppo Nazionale per la Ricerca sull’Ambiente Costiero (GNRAC), Anci, Società Nazionale di Salvamento, Ospedale del Bambin Gesù.