Al secondo posto ci sono le società di capitali: il 10,8% del totale, con un aumento superiore al 30% sul 2011 e del 14,5% nell’ultimo anno”.
Le società di persone, poi, “rappresentano il 7,2% della platea complessiva, mentre in altre forme rientra l’1,7%. Rimane ridotto il numero di imprese ibride, gestite in collaborazione tra immigrati e nativi italiani, che sono solo il 5,9% del totale”. Questo è “un ostacolo alla crescita delle imprese, in quanto le possibilità di sopravvivenza (e di espansione) sono ritenute legate anche al superamento dell’economia ristretta al mondo dell’immigrazione, che relazioni multiple e allargate all’esterno ovviamente facilitano”. Il commercio e l’edilizia, secondo il rapporto Idos-Cna-Moneygram, “sono i comparti che attirano principalmente gli immigrati. Nel complesso questi due settori coprono il 60,1%”. In particolare, il 35,8% (188mila imprese) sono attività commerciali, il 24,3% edili. Seguono, a lunga distanza, la manifattura (42mila imprese, equivalenti all’8% del totale), le attività di alloggio e ristorazione (39mila imprese, il 7,4%), i servizi (27mila imprese, il 5,1%). Nel 2014 i servizi “hanno trainato la crescita dell’imprenditoria immigrata, con il 15,4% delle nuove società, seguiti da costruzioni (14,8%), commercio (12,1%), alloggio e ristorazione (9,3%), manifattura (7,2%)”. La distribuzione dei lavoratori autonomi e delle imprese amministrate da persone nate all’estero “ricalca la dinamicità imprenditoriale ed economica italiana. Oltre la metà sono attive nelle regioni settentrionali, il 26,7% al Centro e il 22,3% al Sud e nelle Isole”. La Lombardia è la regione con il maggior numero di società: quasi 100mila complessivamente, equivalenti al 19% del totale nazionale. Seguono Lazio (oltre 67mila, il 12,8%), Toscana (poco meno di 50mila, il 9,5%), Emilia Romagna (47mila, il 9%), Veneto (44mila, il 8,5%). In proporzione alla platea imprenditoriale regionale, “è la Toscana a primeggiare (il 12,1% del totale), seguita da Liguria (11,2%), Lazio (10,7%) e Friuli Venezia Giulia (10,6%)”.
La vocazione, sottolinea la Cna, “al lavoro autonomo e all’imprenditorialità dei nati all’estero è concentrata in poco più di una decina di Paesi. Secondo i dati Sixtema-Cna, le sei collettività più numerose tra i responsabili di imprese individuali (provenienti da Marocco, Cina, Romania, Albania, Bangladesh e Senegal) coprono oltre la metà del totale”. I nati in Marocco “rappresentano il 15,2% complessivo, seguiti dai nati in Cina (11,2%), Romania (11,2%), Albania (7,3%), Bangladesh (6,2%) e Senegal (4,3%)”. La crescita maggiore negli ultimi anni è stata “tra i nativi del Bangladesh: +28,3% nell’ultimo anno, +245,7% rispetto al 2008. Nella top ten rientrano anche i nati in Svizzera (3,8%) e in Germania (3,2%), ma è evidente che si tratta di figli (e discendenti) di italiani emigrati che hanno voluto riscoprire le proprie radici”. Gruppi etnici e attività, in base al rapporto Idos-Cna-Moneygram, “vanno di solito a braccetto. I marocchini sono impegnati nel commercio in tre casi su quattro, i cinesi sono distribuiti più equamente tra commercio, manifattura e servizi, i romeni e gli albanesi sono concentrati nell’edilizia, i bangladesi e i senegalesi nel commercio (in quest’ultimo caso la percentuale sfiora il 90%)”. Su un altro piano, conclude la Cna, “si ha la conferma del profondo rapporto tra etnia e attività. Quasi la metà degli immigrati impegnati nella manifattura è cinese, così come nell’edilizia capita complessivamente per romeni e albanesi. Il commercio è appannaggio di marocchini, bangladesi e senegalesi”.