In Sudafrica sempre più minatrici, tra emancipazione e stupri

In Sudafrica sempre più minatrici, tra emancipazione e stupri
13 luglio 2015

Nelle profondità delle cave di platino in Sudafrica, lavora un numero sempre maggiore di minatrici, un numero arrivato al 15 per cento del totale dal 1996, cioè da quando è caduto un divieto dell’Apartheid che impediva alle donne di fare questo mestiere. Bernice Motsieola, capoturno alla Anglo American Platinum a Bathopele, sotto di lei 22 dipendenti, ma 13 anni fa, quando iniziò, non fu facile, racconta: “Non piacevamo agli uomini, ci dicevano chiaramente che quello era territorio loro, cosa ci fate qui, volete la parità?!? Non era facile, non riuscivamo a goderci il lavoro e se non riuscivi a farlo ti dicevano ‘te l’avevamo detto’ e così ti discriminavano”.

Al colosso Anglo American Platinum lavorano oggi 3.000 donne. E ricevono anche gli elogi dei vertici. Il ceo Chris Griffith: “Ci sono diversi lavori che le donne fanno molto bene: guidare i macchinari, anche meglio degli uomini, sono più attente, più diligenti, e curano meglio tutta l’attrezzatura… Ci sono alcuni compiti in cui sono naturalmente più brave”, ha spiegato. Oggi Bernice è rispettata, ma non mancano i timori per le possibili aggressioni sessuali a 350 metri di profondità, soprattutto se stai lavorando da sola. Nel 2012 una donna è stata stuprata e uccisa, mentre nel marzo scorso una collega è stata aggredita negli spogliatoi: “Allora sono rimasta scioccata, non mi fidavo più dell’ambiente di lavoro, soprattutto quando ero da sola, e se poi mi succede qualcosa?”. La sicurezza è stata rafforzata con telecamere di sorveglianza e identificazione biometrica. Ma in generale le donne si sentono al sicuro in miniera, come Nozuko Ogyle, addetta al nastro trasportatore: “Fino ad oggi non avuto alcun problema a lavorare qui. Gli uomini con cui lavoro si comportano bene”, ha rassicurato. (Immagini Afp)

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