In Sudafrica sempre più minatrici, tra emancipazione e stupri

Nelle profondità delle cave di platino in Sudafrica, lavora un numero sempre maggiore di minatrici, un numero arrivato al 15 per cento del totale dal 1996, cioè da quando è caduto un divieto dell’Apartheid che impediva alle donne di fare questo mestiere. Bernice Motsieola, capoturno alla Anglo American Platinum a Bathopele, sotto di lei 22 dipendenti, ma 13 anni fa, quando iniziò, non fu facile, racconta: “Non piacevamo agli uomini, ci dicevano chiaramente che quello era territorio loro, cosa ci fate qui, volete la parità?!? Non era facile, non riuscivamo a goderci il lavoro e se non riuscivi a farlo ti dicevano ‘te l’avevamo detto’ e così ti discriminavano”.

Al colosso Anglo American Platinum lavorano oggi 3.000 donne. E ricevono anche gli elogi dei vertici. Il ceo Chris Griffith: “Ci sono diversi lavori che le donne fanno molto bene: guidare i macchinari, anche meglio degli uomini, sono più attente, più diligenti, e curano meglio tutta l’attrezzatura… Ci sono alcuni compiti in cui sono naturalmente più brave”, ha spiegato. Oggi Bernice è rispettata, ma non mancano i timori per le possibili aggressioni sessuali a 350 metri di profondità, soprattutto se stai lavorando da sola. Nel 2012 una donna è stata stuprata e uccisa, mentre nel marzo scorso una collega è stata aggredita negli spogliatoi: “Allora sono rimasta scioccata, non mi fidavo più dell’ambiente di lavoro, soprattutto quando ero da sola, e se poi mi succede qualcosa?”. La sicurezza è stata rafforzata con telecamere di sorveglianza e identificazione biometrica. Ma in generale le donne si sentono al sicuro in miniera, come Nozuko Ogyle, addetta al nastro trasportatore: “Fino ad oggi non avuto alcun problema a lavorare qui. Gli uomini con cui lavoro si comportano bene”, ha rassicurato. (Immagini Afp)

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