Ingroia ci riprova e va in Ecuador. Difenderà l’ex presidente Correa
L’ex pm di Palermo tra inchieste sui rimborsi, flop politici e in Guatemala
Antonio Ingroia ora tenta la fortuna all’Ecuador. Dopo flop giudiziari e politici, l’ex magistrato più chiacchierato degli ultimi 10 anni, oggi è volato per Quito, capitale dell’Ecuador, in occasione dell’udienza preliminare che si svolgerà domani e mercoledì, in un processo “del tutto costruito sul nulla probatorio a carico dell’ex Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa Delgado”. E’ lo stesso ex pm a darne notizia sui social, sempre in prima linea perché “la battaglia per la Verità e la Giustizia continua”. Giustizia di cui, proprio in questo periodo, va alla ricerca in quanto il leader di Rivoluzione civile è indagato per peculato.
Indagine che ha portato, la scorsa primavera, al tribunale del Riesame di Palermo a rigettare la richiesta di dissequestro della somma di 151 mila euro sequestrata proprio all’ex pm. Da amministratore unico di Sicilia e Servizi, società a capitale pubblico che gestiva i servizi informatici della Regione Siciliana, Ingroia avrebbe percepito indebitamente rimborsi di viaggio (alberghi e ristoranti) per 34 mila euro e si sarebbe liquidato un’indennità di risultato di 117 mila euro, bypassando l’assemblea dei soci, quindi in conflitto di interessi. Oltre all’aspetto dell’autoliquidazione, i pm puntano il dito contro l’ammontare dell’indennità. La legge, infatti, stabilisce che non possa essere superiore al doppio dello stipendio annuo lordo del manager.[irp]
Stipendio fissato per Ingroia in 50mila euro. Peraltro, la somma intascata dall’ex manager – “assunto” da Rosario Crocetta e non riconfermato dall’attuale governatore, Nello Musumeci – riduce l’utile della società informatica della Regione a poco più di 33mila euro. Nel conto di Ingroia, insomma, finisce poco meno dell’80% degli utili della società. Resta sotto sequestro anche la casa di campagna dell’ex pm di Calatafimi, sequestrata perché il denaro presente sui conti correnti dell’indagato non sarebbe stato sufficiente a “coprire” i 151mila euro. Il provvedimento, di conseguenza, determina l’impossibilità di vendere l’immobile. La giustizia farà il suo corso.
Giustizia che non ha avuto ancora neanche dalla politica. Infatti, oramai sono diversi i flop anellati da Ingroia. Clamoroso quello del 2013, quando la sua Rivoluzione civile non è riuscita a raggiungere la soglia di sbarramento. “Il vero errore strategico che ho commesso? Cercare il mito dell’unità della sinistra” è stata allora la sua analisi. Una sinistra che tutti cercano ma che nessuno finora è riuscito a trovare come, puntualmente, certificano le urne. Digerito il colpo del 2013, Ingroia ci ritenta nel 2018. E così è sceso in campo con la Lista del Popolo insieme a Giulietto Chiesa. Ma anche questa volta, per l’ex pm, le porte del parlamento rimangono sbarrate. Un altro “pallino”, Ingroia, ce l’ha. Ed è quello di riavere la scorta a seguito.[irp]
Cosa per cui lo scorso giugno ha scritto una lettera a Matteo Salvini, chiedendo “”una rivalutazione aggiornata della situazione di pericolo cui lo scrivente (Ingroia, ndr) ritiene di essere attualmente ancora esposto”. La “improvvisa e totale rimozione di ogni dispositivo di protezione potrebbe essere interpretato dalle organizzazioni mafiose e in particolare dai boss che ho più perseguito in questi anni – scrive ancora l’ex pm – da Matteo Messina Denaro ai fratelli Graviano agli stessi corleonesi facenti capo a Leoluca Bagarella, nonché ai capi della ‘Ndrangheta. Un segnale di abbandono e di isolamento da parte dello Stato nei confronti di chi per almeno 25 anni è stato percepito, a torto o a ragione, come un simbolo della lotta alla mafia, quale uomo delle Istituzioni e servitore dello Stato”.
Un servitore dello Stato che in piena estate del 2012, mentre le indagini palermitane su Stato-Mafia andavano avanti, partiva per il Guatemala con l’incarico di capo della Commissione contro l’impunità in Guatemala che si occupa di investigazioni e di analisi criminale. Sarebbe interessante conoscere quale investigazioni e analisi criminali sono state effettuate dall’organismo dell’Onu. Ma questo è un altro capitolo. Perché oggi è la volta dell’Ecuador, dove “probabilmente a Rafael Correa si vuole far pagare anche di avere dato asilo politico nell’ambasciata ecuadoriana di Londra a Julian Assange, fondatore di WikiLeaks e ricercato dagli Usa, la cui vita è in pericolo, come dimostra la recente misteriosa scomparsa in Norvegia del suo socio Arjen Kamphuis, anch’esso cofondatore di WikiLeaks”. Buon lavoro a Ingroia.