di Enzo Marino
Dall’Arabia Saudita all’Indonesia, più di un miliardo di musulmani hanno iniziato oggi a celebrare il Ramadan: il mese sacro di preghiera e digiuno che i fedeli devono osservare ogni anno astenendosi da cibo, bevande e sesso dal sorgere del sole al tramonto. Lo spirito di festa, anche quest’anno, sarà mitigato da conflitti e violenze che stanno lacerando diversi Paesi musulmani a partire dalla Siria al quinto anno di guerra civile oltre allo Yemen e la Libia ed in misura meno marcata anche un grande Paese come l’Egitto. Il digiuno del Ramadan, è uno dei cinque pilastri dell’Islam, ed è iniziato oggi nella maggior parte dei paesi a maggioranza sunnita, con l’eccezione del Marocco, dove sarà avviato domani. Così come nei Paesi abitati da una maggioranza sciita, come l’Iran. Il mese solare di digiuno è concepito come uno sforzo spirituale e una lotta contro la seduzione dei piaceri terreni durante il giorno. Ma una volta che il sole tramonta, al momento di “al Iftar”; ovvero la rottura giornaliera del digiuno, la festa inizia con ricchi pasti in famiglie assieme ad amici e parenti. Ed ecco come questa festa è vissuta con contrastanti stati d’animo tra Paesi musulmani in guerra ed altri ricchi ed in pace come le monarchie del Golfo:
SIRIA Quest’anno però, Ahmad Aswad, un siriano di 35 anni che bita ad Aleppo città nel nord del Paese bombardata ogni ora del giorno, non avrà le stesse opportuinità dei suoi correligiosi nel resto del mondo. “Qui non c’è niente di gioioso. E’ il quinto Ramadan che trascorro all’ombra della guerra”, si lamenta il padre di tre figli che vive in una zona controllata dai ribelli. Oltre ai combattimenti, ad oscurare il Ramadan, sono anche la mancanza di cibo e l’impennata dei prezzi come a Madaya, città siriane sotto assedio dove una semplice lattuga costa 7.000 lire siriane (l’equivalente di cinque dollari). “Ci sono pochissimi prodotti sul mercato e quando li trovi, sono così costosi che non possiamo comprarli”, osserva Moumina. Questo trentenne è costretto a preparare i pasti con cibo in scatola “molto nauseante” che riesce l’Onu riesce a far entrare a Madaya. Per Moumina, inoltre, è “triste” trascorrere questo Ramadan “senza i figli e la famiglia”, fuggiti altrove come milioni di siriani.
IRAQ Se lo spirito di festa manca in Siria, non è che in Iraq la situazione sia meglio. Per esempio, non si può parlare di festa neanche tra i 50.000 persone intrappolate a Falluja, città suniita ad ovest di baghdad che le forze irachene da giorni cercano di strappare ai jihadisti dello Stato Islamico (Isis). “Bisogna alzarsi alle 5 del mattino e portare pazienza per comprare un chilo di pomodori a 5.000 dinari (più di 3 dollari)”, afferma Abu Mohammed al-Dulaimi, un padre di sei bambini contattato al telefono da France Presse.
YEMEN A 2.000 chilometri più a sud, lo yemenita Abdullah Sarhan si rammarica “per il secondo anno consecutivo, la guerra ci rovina il Ramadan che abbiamo sempre celebrato vivendo nella gioia e nella pace”. Questo insegnante di 42 anni e la sua famiglia sono a rischio della “morte in qualsiasi momento” a causa di “bombardamenti quasi giornalieri” che colpiscono Taiz, una delle città più devastate dalla guerra nello Yemen.
PAESI DEL GOLFO Il contrasto è sorprendente con gli altri paesi del Golfo, tra i più ricche del pianeta, dove alberghi e ristoranti fanno a gara per offrire sfarozosi banchetti per la rottura del digiuno. A Riad, come a Dubai e Abu Dhabi, il Ramadan resta il mese di consumismo e di eccesso per eccellenza, nonostante le misure di austerità imposte dal calo del prezzo del petrolio negli ultimi mesi. Così, il lussuoso hotel Burj al-Arab di Dubai, offre “un mix di specialità tradizionali” per “Iftar” da 400 dirham (110 dollari) a persona. I poveri, in particolare i lavoratori stranieri asiatici, tuttavia, non sono dimenticati: gli “iftars” sono offerti da agenzie caritative, particolarmente attive durante il Ramadan.
INDONESIA Fervore anche in Indonesia, il Paese con il maggior numero di musulmani. Qui si pratica soprattutto un Islam moderato, anche se in alcune regioni, gruppi conservatori stanno cercando di imporre rigide regole durante il Ramadan, compresa la chiusura di bar e luoghi di intrattenimento. “Rispettate la santità del Ramadan. Noi non siamo contrari al tempo libero, ma a volte questo si affaccia verso l’immoralità”, ha detto Jafar Shodiq, un religioso difensore dell’Isalm riferendosi al consumo dell’alcol.
TUNISIA Il dibattito sulla tolleranza scuote anche la Tunisia, un paese in cui le leggi non vietano di mangiare o bere in pubblico durante il mese sacro di digiuno. Un collettivo per le libertà individuali, che riunisce diverse ONG, ha invitato le autorità a “grantire la libertà durante il Ramadan di non chiudere ristoranti o bar”. Tali chiusure che “contrasta con la libertà di coscienza e di credo”, sarebbe “un tradimento dei valori della convivenza”, afferma il collettivo. Nel 2015, quattro agenti di polizia erano stati licenziati per “abuso di potere”, dopo essere intervenuti per chiudere dei bar aperti prima dell’ora per la rottura del digiuno.